Forlì. “Preraffaelliti”, Gianfranco Brunelli svela i particolari della grande mostra

«Al profilo dell’arte dell’Ottocento che le mostre dei Musei San Domenico hanno presentato in questi anni mancava un elemento: ma ora, con i Preraffaelliti, il ritratto è completo». Gianfranco Brunelli, direttore generale delle grandi mostre dei Musei San Domenico di Forlì, è netto nell’individuare le particolarità del 19° grande evento organizzato dalla Fondazione Cassa dei Risparmi in collaborazione con il Comune di Forlì. Brunelli rivendica infatti molte novità di “Preraffaelliti. Rinascimento moderno”, che sarà inaugurata il 24 febbraio e visitabile fino al 30 giugno. «Ci distacchiamo un po’ dalle letture del movimento fatte dagli anni Settanta fino a 7-8 anni fa - afferma Brunelli -. La mostra forlivese mette in luce infatti il rapporto fondamentale fra questi artisti e gli “antichi maestri” italiani, in particolare fiorentini e toscani da Cimabue a Lippi fino a Michelangelo. Lo fa con circa 300 quadri, statue, stampe, disegni, oggetti... a cui si aggiungono circa 50 capolavori del Tre-Quattrocento. Tutto ciò rende quindi “Preraffaelliti. Rinascimento moderno” una mostra inedita sia in Italia che in Gran Bretagna, ed è grande l’interesse della cultura britannica nei suoi confronti».

Anche la squadra dei curatori è internazionale. «Sì, conta sette inglesi, un americano e tre italiani, una ricchezza di approcci stimolante, e complessa da coordinare, visto che punti di vista storici e anche percezioni a volte si sono rivelati lontani. Ma per capire l’invenzione di un Medioevo e di un Rinascimento sognati e trasfigurati, occorre prima comprendere le origini di quel sogno, e poi la sua rivisitazione: che è poi principio di creatività». La mostra ripercorre quindi le fasi storiche e artistiche del movimento, ma anche il suo dialogo con il passato. «Certo. A parte i Nazareni, i Preraffaelliti, in polemica con la Royal Academy e con i suoi canonici ideali di bellezza, sono i primi a interpretare il tempo stando sul crinale della storia, e realizzano qualcosa di veramente moderno e nuovo. Profondamente antiretorici, ostili non a Raffaello ma al “raffaellismo”, John Everett Millais, William Holman Hunt e Dante Gabriel Rossetti con la loro Confraternita cercano un ritorno alla purezza che dovrebbe rivoluzionare l’arte e che sottolineano anche con la vivacità del colore, espressione della realtà. Il loro successo viene poi consacrato da John Ruskin che dopo i suoi viaggi in Italia nel 1841 e 1845 rinverdisce il mito di Firenze e del Rinascimento toscano».

Fenomeno artistico, quindi, ma in un certo senso anche politico. «È vero: nella loro esigenza di un “vero” morale, nell’indagine del rapporto fra verità e potere, sono dei contestatori dell’età vittoriana, addirittura dei presocialisti: penso a Wiliam Morris, che diventa poi imprenditore e fondatore della celebre ditta Morris & Co, ancora esistente. Morris porta l’arte di Rossetti, di Edward Burne-Jones negli oggetti, nelle carte da parati... per renderla possesso di tutti. E se la prima fase del movimento ha vita breve, solo cinque anni, dà origine però a una seconda e una terza generazione, quelle di Edmund Blair Leighton o Charles William Mitchell».

Lei accennava alla presenza in mostra di oggetti. «Per esempio il pianoforte dipinto da Burne-Jones, le vetrate e anche, per la prima volta in Italia, quattro arazzi proprietà di Andrew Lloyd Webber, il compositore delle musiche di “Jesus Christ Superstar”». Si possono individuare dei temi dominanti? «Sicuramente la figura femminile rappresentata anche nei quadri di pittrici come Evelyn de Morgan, o Dante della “Vita nova”, una specie di ossessione per Rossetti. Il punto di riferimento per tutti resta però Botticelli, simbolo della Firenze di Lorenzo il Magnifico come anche dell’inquietudine e della sottile malinconia dell’Umanesimo». La mostra si conclude con una sezione dedicata all’Italia. «Era nella logica di questa ricerca: grazie a questi artisti l’Italia riscopre se stessa, e il nostro Novecento che guarda al Quattrocento, passa da qui...».

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