Forlì. Palazzi della cultura, Italia nostra chiede un progetto definito. «In città c’è un patrimonio ancora invisibile»

Forlì

«A breve incontreremo l’assessore alla cultura, Vincenzo Bongiorno, il quale ha mostrato un’apertura verso le associazioni e un’attenzione particolare al patrimonio culturale della città nel suo insieme, comprendendo anche chiese, monumenti e tutto ciò che riguarda lo studio e la conservazione». A dirlo è Luciana Prati, presidente di Italia Nostra sezione di Forlì. Negli ultimi anni, infatti, l’associazione che si occupa della tutela del patrimonio storico, artistico e culturale della città mercuriale è stata molto attenta e si è mobilitata davanti a quella “rivoluzione” culturale messa in piedi dall’ex assessore Valerio Melandri e che ancora oggi deve trovare un suo compimento e che, almeno momentaneamente, ha portato ad una chiusura dei maggiori palazzi della cultura. «Effettivamente restano aperti il San Domenico con parte della Pinacoteca, il giardino e il parco di Villa Saffi, la Rocca di Ravaldino e il museo del Risorgimento - prosegue Prati -. Tutto il resto non è accessibile, compresa la biblioteca comunale il cui servizio di prestito è stato spostato alla sede del parco della Resistenza. Inoltre, c’è una gran parte del patrimonio culturale di Forlì che rimane invisibile. Al netto di quelle che saranno le scelte dell’Amministrazione, all’assessore che si è appena insediato chiediamo semplicemente di conoscere qual è il progetto complessivo che riguarda la cultura a Forlì, quale programmazione, le tempistiche e soprattutto un coinvolgimento delle tante associazioni della città che operano in questo settore e che, a fronte dell’esperienza maturata negli anni, possono dare un contributo». Un ragionamento che parte dal fatto che in questi anni sono in programma due grandi interventi come quello del palazzo del Merenda e del quarto stralcio del San Domenico. «Visto che proprio il palazzo del Merenda è un museo di sè stesso con un potenziale enorme, vorremmo capire come si articolerà dopo la sua riqualificazione e soprattutto che ne è della restante Pinacoteca ancora in questa sede dal momento che è un cantiere aperto. Stessa cosa per il San Domenico: sappiamo che oltre alla Pinacoteca ci sarà un museo archeologico, ma come verrà pensato? Sembra prospettarsi lo smantellamento di un’ala solo per rendere più fruibile il percorso delle grandi mostre della Fondazione. Ho un po’ di perplessità, questo allestimento attuale non è in decadimento ed è stato studiato proprio per l’esposizione di ogni singola opera, oltre che dal punto di vista sismico e della tenuta».

Molto critica è stata la posizione di Italia Nostra, ad esempio, per quanto riguarda lo spostamento della collezione Verzocchi da palazzo Romagnoli a palazzo Albertini. «Ricordo che sono state raccolte più di mille firme per bloccare il trasferimento, se Verzocchi avesse voluto un museo del lavoro ci avrebbe pensato direttamente lui - conclude Prati -. Eppure con la donazione della collezione ha lasciato indicazioni precise. Ci siamo battuti per il rispetto delle volontà del donatore, ma oggi il risultato è che la collezione Verzocchi è imballata e palazzo Romagnoli chiuso per lavori di allestimento della biblioteca Saffi. Palazzo Albertini? Avrebbe potuto mantenere la sua vocazione di sede di mostre, in città c’è solo l’oratorio San Sebastiano che comunque è uno spazio piccolo. Così si sarebbe valorizzata piazza Saffi e perchè no, al secondo piano pensare a rotazione a mostre di artisti con le opere che al momento sono nei depositi».

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