Forlì. Medici di famiglia contrari a diventare dipendenti Ausl
![Vincenzo Immordino Vincenzo Immordino](http://www.corriereromagna.it/binrepository/768x512/0c0/768d432/none/11807/QPBJ/dat11105817_1385324_20250206204026.jpg)
La proposta di trasformare i medici di base da liberi professionisti a dipendenti Ausl non piace ai camici bianchi, o almeno a molti di loro. Gli orari di visite ambulatoriali, infatti, sono solo una parte del lavoro che svolgono tra visite a domicilio e adempimenti burocratici che, dal Covid in poi, sono diventati la routine per i medici di famiglia. «Questa storia di diventare dipendenti è una demagogia - afferma Vincenzo Immordino, medico di medicina generale oltre che segretario regionale Federazione medici del territorio (Fmt) - Il nostro lavoro va ben oltre le ore di ambulatorio e sono un monte ore che non è riconosciuto. Io vado in ambulatorio prima dell’orario dedicato alle visite per poter svolgere, ad esempio, gli adempimenti burocratici o predisporre i piani terapeutici. Ci sono poi le visite a domicilio da effettuare, quelle agli anziani nelle case di riposo senza considerare i consigli che dispensiamo in orario extra lavorativo. La normalità, anche quando sono a casa, è ricevere anche una decina di telefonate da parte dei pazienti che cercano consiglio. Si tratta sempre di un consiglio clinico - spiega - di indicazioni mirate». La proposta che sembra profilarsi all’orizzonte, a suon di ipotesi di riforma della professione, rischierebbe di impoverire la rete assistenziale a scapito delle fasce più deboli. Se, infatti, i medici di famiglia dovessero svolgere parte del loro lavoro nelle case della comunità, ovvero i presidi socio-sanitari in corso di realizzazione grazie ai fondi Pnrr dedicati alle cure primarie della cittadinanza, questo potrebbe avere l’effetto di smantellare la capillarità dei camici bianchi attraverso i loro ambulatori con ripercussioni dirette sulle fasce più deboli come gli anziani. «Non si calcola spesso che noi siamo liberi professionisti e che, come tali, facciamo fronte a diverse spese che vanno dal pagamento della segretaria all’infermiera, all’affitto dell’ambulatorio e a tutte una serie di spese come i software. Se fossimo dipendenti Ausl a chi spetterebbero?- si chiede Immordino -. Inoltre gli ambulatori decentrati come quelli nei piccoli paesi rischierebbero di sparire se venisse accentrato nelle case della comunità, con innegabili ripercussioni sulle fasce più deboli della popolazione. Seguo tante famiglie in cui ci sono anziani soli: come farebbero?».
La proposta di riforma rischia, dunque, di mettere ulteriormente in difficoltà una professione che soffre già di mancanza di personale. «Il medico famiglia andrebbe sostenuto perché sta andando estinguendosi - conclude amaramente - invece sembra si faccia di tutto per umiliarlo sempre più». Non entra nel merito del giudizio Michele Gaudio, presidente dell’ordine dei medici chirurghi e degli odontoiatri di Forlì-Cesena che però fa una considerazione: «Dobbiamo tener conto della imminente attuazione di due decreti ministeriali che rivoluzionano l’assistenza territoriale - ragiona - . Quando saranno attuati entro la metà del prossimo anno, poiché destinatari di fondi Pnrr, questa riorganizzazione potrebbe prevedere un cambiamento nell’assetto. Ci sono opinioni fortemente diverse all’interno della professione e si è costituito addirittura un sindacato a favore della dipendenza dei medici dall’Ausl mentre i sindacati storici sono fortemente contrari. Questa prevista riforma epocale dell’assistenza territoriale - prosegue - dovrà in qualche modo necessariamente prevedere un cambiamento anche nell’assetto dei medici di medicina generale: ad esempio c’è una proposta di legge che lascerebbe in regime di convenzione i medici di base ma con obblighi lavorativi diversi. Tra questi, garantire un certo numero di ore settimanali metà delle quali da svolgere all’ interno delle future case di comunità».