Forlì. Il fenomeno del caporalato è presente anche in Romagna. I dati della Cgil

Forlì

La tragica morte di Satnam Singh, bracciante morto per mancanza di soccorso dopo un grave infortunio sul lavoro nelle campagne dell’Agro Pontino, riportano alla luce il fenomeno del caporalato, che anche nel nostro territorio ha registrato di recente vicende di grave sfruttamento.

I dati

Nella provincia di Forlì Cesena ci sono circa 9.680 aziende agro alimentari tra culture agricole, orto frutticole e vitivinicole, prevalentemente a conduzione familiare. I lavoratori occupati nel settore sono circa 16.370 , per lo più lavoratori stagionali. Dall’Osservatorio Placido Rizzotto della Flai Cgil Nazionale si conferma una componente bracciantile senza contratto di lavoro e con un salario non standard che oscilla tra il 15 e il 20%. «Si tratta di una componente stanziale in Provincia che si muove nelle campagne romagnole, da Ravenna fino alle Marche - spiega Maria Giorgini, segretaria della Cgil provinciale - composta da lavoratori di origine marocchina, rumena, bulgara, albanese e che negli ultimi anni vede una crescita di persone proveniente dal Bangladesh e dal Pakistan. Le interviste e poi le recenti inchieste della Procura e delle forze dell’ordine, rilevano la presenza di sistemi di Caporalato con diverse origini: italiane, romene, marocchine e pakistane. Il sistema è sempre il medesimo, si pagano 6/7000 euro per arrivare dal proprio paese, viene fornita una abitazione fatiscente spesso in casolari abbandonati, in attesa di essere smistati. I salari oscillano tra i 3/4 euro all’ora e non superano i 600/700 euro mensili, in alcuni casi i racconti parlano di ricatti inaccettabili e violenze, di mancanza di qualsiasi standard di sicurezza e di umanità».

Il protocollo del 2023

La collaborazione accresciuta negli ultimi anni tra il sindacato e le forze dell’ordine ha portato alla richiesta di definizione di procedure e dopo due anni di lavoro alla sottoscrizione di un importantissimo protocollo firmato l’11 gennaio 2023 a Forlì “Per la prevenzione e repressione di fenomeni di grave sfruttamento lavorativo e capolarato e la presa in carico delle vittime”.

«I numeri indicano che anche in Provincia di Forlì-Cesena il caporalato viene praticato quotidianamente - prosegue Maria Giorgini - specialmente nell’agricoltura, ma anche in altri settori come logistica, il turismo, i trasporti e i servizi; in alcuni casi la rete è transnazionale in un intreccio tra le mafie nostrane ed estere. Si annida in false cooperative, sistemi di sub-appalti, e false agenzie di servizi e somministrazione e approfitta delle difficoltà di reperimento della manodopera e delle condizioni di ricattabilità delle persone più fragili, in particolare stranieri in assenza di permesso di soggiorno. Per questo va cambiata la legge Bossi Fini, inoltre servono maggiori risorse per le forze dell’ordine, e per gli enti preposti ai Controlli, tra cui Ispettorato, Inps e Inail. Fondamentale il Protocollo sottoscritto con la Procura della Repubblica di Forlì Cesena, tra i migliori strumenti presenti in Italia, perché solo con questa collaborazione tra enti, sindacati, forze dell’ordine si può concretamente affrontare una ramificazione della criminalità organizzata così presente. Serve però un intervento del Governo perché c’è un modello produttivo basato sullo sfruttamento che va cambiato, chiediamo un Made In Italy prodotto da mani libere dai caporali, la regolarizzazione delle persone straniere presenti nel nostro paese, l’applicazione di contratti regolari e dei salari previsti dalla contrattazione collettiva, e l’applicazione concreta di ulteriori strumenti come la Rete del lavoro agricolo di qualità, che può essere uno metodo estensibile anche in altri settori».

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