Forlì e i nodi della sanità: “Non riusciremo a coprire i posti degli infermieri che vanno in pensione”

La carenza di infermieri è un’emergenza ormai cronicizzata dagli anni ma rischia di peggiorare ulteriormente per la mancanza di professionisti che, in un futuro prossimo, possano sostituire chi va in pensione.

«È tema alquanto rilevante perché in Italia la carenza è di 65mila unità – spiega Marco Senni, presidente dell’ordine dell’Ordine delle professioni infermieristiche (Opi) di Forlì-Cesena –. Considerando che nei prossimi 10 anni usciranno dalla professione per raggiunti limiti età circa un quarto dei professionisti e considerandole le persone che entrano nel mondo universitario, noi non copriremo le uscite dei pensionamenti con i ragazzi che oggi decidono iscriversi all’Università».

Ad essere iscritti all’Opi, a livello provinciale, sono circa 3.400 professionisti di cui 2 sono infermieri pediatrici che hanno albo a parte. L’ Italia è fanalino di coda in Europa per numero di paramedici. «Abbiamo 6,4 infermieri per mille abitanti contro la media europea di 9,5 – quantifica Senni –. Si parla tantissimo della carenza dei medici ma in realtà c’è un problema di mancanza di personale di altre professioni sanitarie di cui non si dibatte con la stessa enfasi». Eppure gli infermieri sono il pilastro dell’assistenza sanitaria. «L’infermiere è la sentinella della salute del paziente – continua –. Dove non ci sono infermieri si hanno più infezioni, più lesioni da decubito, più embolie polmonari, più morti. Sono dati scientifici dimostrati: se mancano infermieri il rischio di morte aumenta così come quello di infezione».

Cosa fare, dunque, per correre ai ripari? Le strade da percorrere sono diverse. «Prima di tutto bisogna ricorrere ad azioni concrete per rendere la professione attrattiva. Dobbiamo uscire un po’ dal retaggio culturale rispetto al quale l’infermiere ha una formazione obsoleta, non è così. Oggi la formazione avviene in contesti universitari e nel nostro quotidiano agiamo con competenze avanzate». Per riconoscere tali professionalità è indispensabile rivedere gli stipendi al rialzo ma non solo: «Siamo a buon punto per la creazione di lauree magistrali ad indirizzo clinico. I colleghi che decidono di intraprendere il percorso formativo vedranno, dunque, riconosciute le competenze acquisite in contesti universitari distintive rispetto alla determinata laurea».

Altro passo che potrebbe aiutare la professione è sgravare dai carichi prettamente burocratici. «Una buona percentuale, circa il 30% del lavoro che oggi fanno gli infermieri, potrebbe essere fatto da altre figure professionali come, ad esempio, gli amministrativi che potrebbero seguire le attività correlate al paziente che non sono di assistenza – continua Senni –. La Federazione sta lavorando ad una proposta che va in questo senso tenendo in capo agli infermieri la responsabilità della formazione. Credo che possa dare una mano e ridurre parte del problema».

Bisogna, infine, attrarre sempre più chi è in procinto di scegliere il proprio percorso lavorativo: «Noi come Ordine abbiamo fatto campagne di sensibilizzazione negli istituti superiori rilanciando un po’ la bellezza di fare l’infermiere. Lavorare in emergenza, all’interno del 118, attrae moltissimo i giovani ma ci si può spendere in tanti contesti: basti pensare all’infermiere di assistenza domiciliare, a quello di famiglia e di comunità. Oggi anche il territorio è molto attrattivo quindi fare campagne che vadano in quella direzione può aiutare».

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