Dovadola. L’agricoltore Fabio Cappelletti: «Dopo tante promesse ci sono stati negati gli aiuti»

Forlì

Prima l’alluvione che ha distrutto il 20% dei terreni destinati alla produzione del grano, poi l’iter infinito per richiedere i ristori tra perizie, domande e relazioni dei tecnici per vedersi, infine, negato il risarcimento. L’amarezza che prova Fabio Cappelletti, titolare dell’azienda agricola “Nel nome del pane” di Dovadola è comune a quella di tanti altri colleghi che stanno ancora rincorrendo la normalità dopo la disastrosa alluvione del maggio 2023. Una sofferenza allungata dalla burocrazia che, al momento, ha reso i rimborsi promessi un miraggio.

«La mia famiglia – spiega Cappelletti – ha un panificio dal 1979 a Dovadola. Nel 2019 è nata l’azienda agricola “Nel nome del pane” che ha dato vita ad un progetto di filiera». Nelle colline di Dovadola, dunque, vengono coltivate gran parte delle materie che finiscono nelle pagnotte sostenendo, in questo modo, l’economia locale. Un progetto che profuma di genuinità e attaccamento alle origini. «L’alluvione del 2023 – continua l’imprenditore agricolo – ha colpito duramente la nostra zona così come gran parte dell’ Appennino romagnolo. Le frane hanno causato molti danni a partire dalla difficoltà di poter accedere ai campi e all’ azienda agricola stessa oltre che a danneggiare le colture».

Una situazione che accomuna tutte le aziende agricole locali. «Dopo tante promesse fatte ancora non abbiamo ricevuto nulla – dice amareggiato -. Sembrava che gli aiuti ci fossero e che potessero essere velocemente accessibili ma non è così». Fabio Capelletti, come tantissimi altri agricoltori, dopo mesi di attesa e silenzio ha ricevuto un diniego da parte di Agricat, Fondo mutualistico nazionale per la copertura dei danni catastrofali meteoclimatici alle produzioni agricole voluto tra gli altri dal ministero dell’Agricoltura. Dopo la sequela di “no” alle domande presentate dagli agricoltori, due delle maggiori associazioni di categoria, ovvero Confagricoltura e Cia-Agricoltori Italiani, hanno sollevato il problema del rigetto totale o parziale di circa 12mila richieste di indennizzo invocando soluzioni rapide. «C’è un po’ di amarezza anche se ormai ho impatto che nelle mie attività devo arrangiarmi e non sperare in aiuti esterni – dice Cappelletti - Oltre a ciò c’è anche la difficoltà di pianificare: due dei 10 ettari di miei terreni sono compromessi da un anno e mezzo e non posso coltivarli ma nemmeno pensare di sistemarli da solo. Sono in una fase di stallo anche per l’attesa delle risposte alle domande che ho presentato».

Il duro lavoro dei campi dal 2023 è diventato quasi marginale per chi si è ritrovato, improvvisamente, a dover fare i conti con la burocrazia legata ai ristori. «Nell’appennino e nelle zone collinari decentrate, dove le famiglie e le aziende tendono a spegnersi, c’è un grosso bisogno di supporto da parte delle istituzioni perché con l’alluvione abbiamo visto cosa succede con l’ abbandono delle campagne – conclude -. Sarebbe utile, nell’interesse di tutti anche di chi vive in pianura, un occhio di riguardo sulle zone montane e collinari».

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