Forlì, il medico: "Ho dato la comunione ai malati di Coronavirus"
FORLI'. «Ho sempre cercato di vivere la dimensione della cura del paziente in maniera completa. Purtroppo la routine ti fa spesso dimenticare questo tipo di approccio. Questa emergenza ce l’ha riproposto in maniera decisa. Sono cambiato. Siamo tutti cambiati». La pandemia ha stravolto vite, capovolto prospettive e ribaltato abitudini. La pandemia ci ha consegnato storie di umanità straordinaria e di gesti imprevisti. Come un sacerdote che si affida a un medico per portare il conforto ai malati di Covid. E un medico che si improvvisa cappellano. Cristiano Colinelli è uno pneumologo dell’Ausl. È stato lui in queste settimane a portare la comunione ai pazienti del suo reparto. L’ha fatto con uno speciale permesso del vescovo Livio Corazza al quale si era rivolto don Domenico Ghetti, sacerdote dell’ospedale Pierantoni. Troppo rischioso per lui entrare nelle stanze dei malati. Così, «con l’intercessione della Beata Benedetta Bianchi Porro», ecco il dottor Colinelli.
Colinelli, com’è avvenuta questa sua “ordinazione”?
«Un giorno don Domenico mi chiama al telefono. Non rispondo quasi mai, quel giorno sì… Era destino. Gli era stato proibito di entrare nei reparti Covid e mi esprime la sua preoccupazione per l’assistenza spirituale dei degenti. Mi ha chiesto di essere un tramite. Sono un cattolico praticante e don Domenico lo sa. Probabilmente per questo mi ha cercato. Ho sentito in lui il dolore per non poter essere vicino ai ricoverati in un momento così difficile. Tra i malati si respira il bisogno di avere un conforto spirituale, è una componente della nostra dimensione umana. Non ho esitato ad accettare e mi sono chiesto come fare. Ho coinvolto caposala e infermieri e abbiamo appeso in ogni camera un foglio con le indicazioni per chi volesse ricevere la comunione o anche solo raccogliersi per una preghiera».
Il suo “debutto” com’è andato?
«Un giorno una infermiera mi dice che un malato aveva chiesto assistenza spirituale. Sono andato. Confesso che ero un po’ in crisi. Era una situazione che andava oltre la mia dimensione di medico. Forse il paziente si aspettava un sacerdote e mi sono presentato io che l’avevo visitato poco prima. Ho avvertito subito un po’ di imbarazzo. A quel punto gli ho proposto di dire una preghiera insieme. Avevo stampato la preghiera di affidamento alla Madonna del fuoco e l’abbiamo recitata insieme. La barriera iniziale è crollata e mi ha chiesto di ricevere l’eucarestia. Un’esperienza bella, profonda. Lui si è messo a piangere. Anch’io mi sono commosso. Ho capito cosa vuol dire davvero prendersi cura in ogni aspetto di una persona. Pensiamo che una medicina risolva tutto ma spesso è anche la capacità di donare qualcosa in più che contribuisce alla guarigione. È stata una luce in questa tenebra di Covid. Nel dramma qualcosa di bello è uscito».
Ecco, il dramma. Quanto è stato difficile per voi affrontarlo?
«Moltissimo. Abbiamo avuto momenti davvero durissimi. Quello più drammatico è stato per me la morte di un ragazzo di 26 anni (Andrea Tesei, lo scout di Predappio scomparso lo scorso 25 marzo, ndr). Mentre i colleghi lo rianimavano e la traccia dell’ecg era piatta ho pregato perché quel cuore ripartisse. In questi mesi mi sono ritrovato più volte a restare minuti in silenzio al telefono con figli e familiari di pazienti disperati e in lacrime. Non è facile».
Colinelli, la situazione ora com’è?
«Sicuramente migliorata. I casi gravissimi di marzo non li vediamo più. Passata la Pasqua arrivano solo persone anziane che si sono contagiate in strutture chiuse, come le case di riposo».
Cosa le ha lasciato questa esperienza?
«Non solo dolore. Il mio atteggiamento è migliorato nell’aspetto relazionale. Credo quello di tutti. Tutti si sono spesi, dai medici agli infermieri agli addetti alle pulizie. Ognuno ha dato il massimo focalizzandosi anche sull’importanza del dialogo. A volte basta un sorriso. Guardi, noi entriamo nelle stanze completamente protetti, con visiere e mascherine ma anche gli occhi sanno esprimersi. Anche gli occhi sanno sorridere».