Faenza, fiumi e sicurezza: esperti a convegno, nuove proposte

Faenza

Dare più spazio ai fiumi, rallentare i flussi a monte, opere di laminazione e contenimento, ricalcolare le portate, prevedere tracimazioni controllate, delocalizzazioni non impositive. Questi e altri gli orientamenti dei piani speciali emersi ieri dal convegno conclusivo del progetto “Controcorrente – la Net generation e la sfide del clima che cambia” finanziato dalla Regione Emilia-Romagna.

In evidenza i risultati raggiunti dal progetto, teso a chiarire le dinamiche di gestione dei corsi idrici alla luce dei cambiamenti climatici e del cambio di paradigma che si intende dare per mitigare le possibili conseguenze sul territorio: linee guida, strategie, strumenti, opere da attuarsi con i “piani speciali” comunque ancora da approvare per un’esposizione di 4 miliardi di euro spalmati su un orizzonte temporale di 12 anni.

Coinvolti in pratica tutti gli attori del settore: dall’Autorità di bacino, ai consorzi di bonifica, dai carabinieri forestali ad Arpae, ai vari enti locali, agenzie, organismi e associazioni come i circoli territoriali di Legambiente che hanno avuto un importante ruolo nel percorso intrapreso.

«Un percorso di conoscenza – ha rimarcato l’assessore Luca Ortolani, intervenuto ad aprire i lavori – per capire come gestire le risorse idriche che oscillano tra il troppo e il troppo poco. Serve un giusto equilibrio senza polarizzare le posizioni essendo il sistema estremamente complesso, quindi materia di approfondimento per ricostruire in modo diverso, individuando gli elementi fondamentali per la gestione del rischio, nel rispetto ambientale, vista anche l’importanza della risorsa acqua nell’economia e nel sociale».

Per quanto riguarda le strategie dei piani speciali, ha parlato il responsabile dell’Autorità di Bacino, Andrea Colombo.

Non essendo ancora uscito un programma degli interventi e non essendo ancora disponibili i fondi, si è concentrato sulle strategie e sugli orientamenti: interventi strutturali per il deflusso e laminazione delle piene; gestione della vegetazione, criteri per i ponti e i manufatti, gestione forestale dei versanti, pianificazione urbanistica, delocalizzazioni, dove non è possibile mettere senza imposizioni, ma con vincoli, interventi sulle frane.

«Il concetto principale – ha detto Colombo – è quello di dare maggiore spazio ai fiumi: sono corridoi stretti, pensili, con argini già troppo alti, realizzati quando la cultura del tempo imponeva di bonificare e dare spazio all’agricoltura. Oggi i fiumi, quello spazio, se lo riprendono. Vanno ricalcolate le portate massime, realizzate opere di laminazione per contenere il più possibile i flussi a monte e rallentare il deflusso, arretrare dove possibile le arginature. Il sistema non è stazionario, in caso di piene superiori, individuare aree di tracimazione controllata, prevedere servitù di allagamento».

Il progetto ha lavorato su cinque fiumi “campione” della regione: Enza, Trebbia, Po di Volano, Lamone e Savio ognuno collegato ad un tema specifico di approfondimento. Il Trebbia è stato connesso al deflusso ecologico, l’Enza alla gestione idrica, il Lamone al rischio idrogeologico, il Savio alla gestione della vegetazione e il Po di Volano al turismo fluviale. Le azioni svolte hanno coinvolto oltre 400 cittadini e interessato un pubblico di 20mila persone.

E’ stata monitorata la qualità delle acque con rilievi eseguiti su almeno 4 punti focali di ciascun fiume. Le analisi hanno rilevato parametri microbiologici e chimici e ricercato il glifosato, un erbicida molto diffuso in agricoltura, fortemente tossico per gli insetti impollinatori e una possibile correlazione con lo sviluppo di tumori.

Ne sono emersi dati decisamente variabili con valori complessivamente buoni in primavera e più negativi in autunno quando si sono registrati superamenti dei valori minimi tollerati: nel Lamone enterococchi a Faenza e nitrati da Fognano in giù. Tali monitoraggi dovranno essere ripetuti in futuro.

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