Brisighella, scavi archeologici al castello di Ceparano aperti al pubblico

Faenza

Circa duecento persone nella giornata di ieri si sono inerpicate lungo il sentiero che conduce alla torre di Ceparano per visitare gli scavi archeologici, descritti e commentati nell’occasione dal professor Enrico Cirelli, dall’Università di Bologna, dipartimento Storia, culture e civiltà.

Tutti hanno potuto assistere alle ultime fasi di questa sesta campagna, che si concluderà domani, con la copertura a fini protettivi (in geotessuto) dei ruderi scavati. Sotto la guida di Cirelli hanno lavorato per un mese 25 studenti impegnati anche in rilievi, misurazioni e catalogazioni.

Al termine della campagna occorrerà un’altra settimana per elaborare i dati raccolti «poi – dice l’archeologo - abbiamo bisogno di mettere a fuoco quanto finora scoperto e scrivere la nuova storia di questo sito, la cui origine è molto precedente a quanto finora risaputo: vi sono stratificazioni risalenti addirittura all’ultima età del bronzo, XII secolo a.C».

Gli scavi si estendono su circa due ettari di superficie. Quest’anno ci si è concentrati in particolare su una domus a due piani (casa), a ovest sotto la torre a circa 25 metri entro la cinta muraria.

Qui la scoperta più interessante, oltre ai vari spazi abitativi «è un granaio con migliaia di semi rinvenuti carbonizzati, probabilmente di segale, che saranno comunque oggetto di analisi».

Il ritrovamento consentirà di assumere notizie sul tipo di alimentazione e sull’organizzazione della società nel villaggio. Un villaggio che sarebbe successivo a un altro precedente su una vicina collinetta, poi abbandonato a causa di un devastante terremoto tra il 1260 e il 1270 «del quale – afferma Cirelli – abbiamo trovato traccia: fessurazioni e spaccature nella roccia, un sisma che colpì anche Faenza».

Entrambi i villaggi furono costruiti su precedenti insediamenti, ancora più antichi, una soluzione spesso adottata nel Medioevo.

I rilievi e le ricerche in corso consentiranno di disegnare in modo virtuale il castello, cinto da mura per due terzi con un precipizio sull’altro fronte. A ridosso del dirupo svetta la torre mutilata, intera fino al 1700, ma ancora imponente nella parte rimasta che ospita un paio di forni, utilizzati anche di recente e una cisterna per l’approvvigionamento idrico comunitario.

«Abbiamo delineato l’ingresso principale con un doppio fossato e un doppio ponte levatoio – spiega sempre Cirelli -. Internamente ci sono due chiese, la prima delle quali fu smantellata con tutto il cimitero per fare posto alla fortezza: fu ricostruita leggermente più valle e gli scheletri delle tombe radunati in un ossario in prossimità della nuova chiesa. Qui abbiamo rinvenuto i resti di circa 350 persone, poi ricollocati sul posto. Ma ce ne sono altri che lasceremo riposare dove si trovano. Intorno, più in basso, vi sono parecchie tombe a gradoni dal XIII al XVI secolo».

Un’altra caratteristica sono le cave da cui si estraeva lo “spungone” una pietra pregiata per edificare palazzi, chiese e macine. Lo spungone proveniente da questi siti (Ceparano e dintorni) fu utilizzato per edifici a Faenza, Ravenna, nella Romagna toscana e perfino all’abbazia di Pomposa. Non mancano ritrovamenti di utensili, armi, vasellame in ceramica, monili: punte di freccia sono state trovate conficcate nelle mura vicino alle postazioni da tiro. Molto bello uno stemma araldico di Astorgio Manfredi. Nella sua ultima fase il castello divenne rifugio di briganti, perciò fatto distruggere, lasciando solo parte della torre a più piani, che fu utilizzata anche in epoche più recenti.

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