Elezioni Regionali 2020 in Emilia Romagna: intervista al candidato Stefano Bonaccini
Chi è Stefano Bonaccini?
Sono il presidente della Regione Emilia-Romagna. Ho 53 anni e vivo da sempre a Campogalliano, un piccolo centro del modenese: prima con i miei genitori, poi nella casa accanto con mia moglie e le mie due figlie. Ho una lunga esperienza da amministratore, che mi ha portato fin qui. E mi ricandido alla guida della nostra Regione mettendoci la faccia, perché è previsto che i cittadini votino direttamente il presidente, anche a prescindere dalla scelta del partito.
A differenza dei suoi avversari, lei non può accusare chi ha governato fino ad adesso. Ci dica allora cosa ha fatto di buono in questi 5 anni.
Quando sono arrivato la disoccupazione era al 9%, oggi è quasi al 5%. Per me dare il lavoro è la cosa più importante, perché il lavoro è dignità. Poi so bene che c’è ancora troppo lavoro precario o povero, ma la situazione è cambiata. Da cinque anni, per la prima volta nel secondo dopoguerra, siamo la locomotiva del Paese: l’Emilia-Romagna è la regione che cresce di più, è prima per export pro-capite e per occupazione femminile, è diventata attrattiva per investimenti stranieri e per studenti, i turisti sono cresciuti da 45 a 60 milioni nel mio mandato. La ricetta giusta è stata condividere fin dal 2015 un Patto per il Lavoro con tutte le parti sociali: ci ha permesso di mobilitare oltre 22 miliardi di investimenti e abbiamo scommesso sulla qualità e l’attrattività, sulla ricerca e l’innovazione, sulla formazione e l’internazionalizzazione. È grazie a queste scelte che siamo usciti prima e meglio dalla crisi rispetto al resto dell’Italia, anche se non mancano problemi e tanto resta da fare.
E cosa non è riuscito a fare?
Ad esempio, migliorare i Pronto soccorso rendendoli più accoglienti e tagliando i tempi d’attesa. Abbiamo un piano ad hoc per questo, già partito, che prevede massimo 6 ore di tempo fra l’entrata e il ritorno a casa o il ricovero: sono certo che le aziende sanitarie riusciranno a centrare l’obiettivo, così come in questi anni abbiamo tagliato le liste d’attesa per visite ed esami.
La Sanità dell’Emilia-Romagna è considerata un fiore all’occhiello, eppure è finita nel mirino dei suoi avversari. Cosa si può ancora migliorare?
Quella della mia avversaria è una campagna a tutto campo per denigrare l’Emilia-Romagna, che si tratti di sanità, ambiente o turismo. Proprio il governo di cui lei faceva parte fino a pochi mesi fa ci ha definito un punto di riferimento per le altre regioni in materia di sanità, con quale credibilità viene oggi a dire che i nostri servizi non funzionano? Afferma di voler portare qui modelli di altre regioni, indicando Lombardia e Veneto: tradotto, vuole privatizzare la sanità distinguendo tra servizi per i poveri e servizi per i ricchi. Finché ci sarò io in Emilia-Romagna la sanità resterà invece pubblica e universalistica, per garantire a tutti i cittadini le cure migliori e senza distinzione di reddito. Ho già detto dei Pronto soccorso, così come vogliamo abbattere le liste d’attesa per gli interventi chirurgici programmati, e continuare a rafforzare gli organici, proseguendo nelle assunzioni dopo le oltre 13mila fatte in questi anni. Noi vogliamo fare un passo avanti, puntando a standard sempre più elevati.
Le sue proposte per il rilancio del commercio?
Già in questi anni abbiamo sostenuto il settore nello sforzo di recuperare terreno, investendo oltre 22 milioni di euro su valorizzazione dei centri storici e marketing del territorio, qualificazione delle aree e dei mercati, competitività e attrattività degli esercizi commerciali, interventi specifici nelle aree montane per gli esercizi di vicinato. Vanno aggiunti 11 milioni per l’accesso al credito, fino all’ultimo bando da 4 milioni di euro per contributi diretti agli operatori commerciali. Vogliamo però fare un passo avanti anche qui, anzitutto semplificando le regole attraverso un Codice unico delle norme regionali in materia. Introdurremo poi nuovi incentivi, per continuare a qualificare e innovare. Infine, potenzieremo la promozione con nuovi strumenti, quali i distretti o i cluster del commercio, per mettere in rete azioni ed attori, pubblici e privati, e favorire la competitività dell’intero settore.
Infrastrutture, quali sono le priorità?
Anzitutto avviare o completare quelle che in questa legislatura abbiamo sbloccato, visto che erano ferme da troppo tempo. Ma il nuovo Piano, che approveremo nei primi 100 giorni, avrà una netta connotazione ambientale e di sostenibilità. In 5 anni completeremo il ricambio di tutti i mezzi pubblici perché siano più ecologici e confortevoli, così come procederemo all’elettrificazione del trasporto; elettrica sarà sempre più anche la mobilità privata, con 2.500 nuove colonnine di ricarica. E realizzeremo 600 chilometri di piste ciclabili. Potenzieremo anche l’integrazione tariffaria a vantaggio dei pendolari, con misure straordinarie per gli studenti. In 5 anni non si potrà far tutto, ma davvero la nostra mobilità cambierà pelle per qualità e sostenibilità: penso a progetti come la metropolitana leggera di costa, che da Cattolica possa andare ai Lidi ferraresi, perché lì ci sono oltre 100 chilometri di costa e milioni di presenze turistiche ogni anno. Ci vorranno tempo e risorse, ma la traiettoria è questa, come abbiamo dimostrato con il collegamento dedicato tra Rimini e Riccione, da poco inaugurato, che toglie 10 mila auto al giorno.
La sua idea di autonomia regionale?
Abbiamo chiesto di poter gestire direttamente e con risorse certe 15 delle 23 competenze che la Costituzione prevede possano essere concesse alle Regioni, per poter dare risposte ancora più efficaci e veloci a cittadini e imprese dell’Emilia-Romagna. Lo abbiamo fatto insieme a tutti le parti sociali e agli enti locali, scrivendo insieme il progetto e senza mai avere un voto contrario in consiglio regionale. Rispettando il percorso previsto dalla Carta costituzionale e senza toccare né l’unità nazionale, per noi sacra, né il principio della solidarietà territoriale. Adesso, dopo il tempo perso dal precedente Governo, con l’attuale ministro Boccia tutte le Regioni si sono trovate d’accordo sulla definizione dei Livelli essenziali delle prestazioni, i Lep, da garantire in ogni parte del Paese: Fui il primo, peraltro, ad avanzare questa proposta: mi aspetto quindi che il Governo proceda, altrimenti non faremo sconti come al precedente.
Concessioni e canoni balneari: cosa promette agli operatori della Riviera?
Non faccio promesse. Lavoro per trovare soluzioni positive, come in questo caso. La Regione Emilia-Romagna ha fortemente voluto la proroga di 15 anni che è stata concessa; adesso però serve una riforma nazionale delle concessioni balneari con finalità turistiche, perché gli imprenditori del settore hanno bisogno di certezze e di una prospettiva, senza le quali non si investe e non si cresce. Ci batteremo affinché il Governo la approvi al più presto e perché sia basata su quattro punti chiave: estensione della concessione per 30 anni sulla base del legittimo affidamento di ispirazione europea e di un patto col concessionario che preveda riqualificazione dell’offerta e valorizzazione del patrimonio demaniale; riconoscimento del valore commerciale dell’impresa balneare; definizione chiara del concetto di facile e difficile rimozione e dell’ambito di intervento delle Sovrintendenze rispetto ai piani degli arenili. Per evitare che troppi progetti di riqualificazione vengano bocciati perché non conformi ai Piani Spiaggia. Due sono gli altri punti sui quali lavoreremo: un Fondo regionale destinato alla difesa degli arenili dall’erosione marina e alimentato dai canoni pagati allo Stato dai concessionari. Agli operatori balneari lo dico con chiarezza: noi vogliamo fare dei fatti veri, concreti. Le promesse lasciano il tempo che trovano e loro sanno che, quando li incontro, se mi spendo per qualcosa è per provare ad arrivarci in fondo. Questo continuerò a fare.
Lo stop alle estrazioni rischia di mettere in ginocchio un settore importante dell’economica ravennate. Quali soluzioni propone per conciliare tutela dell’ambiente ed economia?
Così come abbiamo fatto con la strategia regionale sul plastic free, condivisa con imprese e sindacati, anche in questo caso noi partiamo da un punto fermo: è possibile tenere insieme lavoro e ambiente, senza metterli in contrapposizione. Entro il 2035 vogliamo arrivare al 100% di utilizzo di energie rinnovabili e già nei prossimi cinque anni ne raddoppieremo il ricorso; intanto abbiamo anche aumentato i controlli su sicurezza e ambiente e come Regione Emilia-Romagna abbiamo già impostato un Piano per la transizione energetica sostenibile nel distretto dell’offshore ravennate, frutto di un processo di concertazione e partecipazione con il territorio, con una priorità: l’attività di decommissioning, ovvero di riconversione dell’attività estrattiva. È a fronte di questo percorso avviato e condiviso che abbiamo chiesto che l’offshore di Ravenna sia fuori dalla sospensiva. È anche bene ricordare che il comparto non è composto solo da multinazionali, ma da centinaia di piccole e medie imprese emiliano-romagnole, che occupano diverse migliaia di lavoratori di grande professionalità. La dignità del lavoro per noi deve stare insieme alla tutela dell’ambiente, entrambe una priorità. E ricordo che il distretto di Ravenna ha sempre fatto scuola sull’utilizzo delle migliori tecnologie disponibili e le scelte gestionali ispirate a modelli di sviluppo sostenibile: negli anni sono stati realizzati oltre dieci patti e accordi territoriali, condivisi da cittadini, lavoratori, aziende leader, subfornitura. Ciò detto, una svolta ecologica non è più rinviabile e la Regione intende perseguire gli obiettivi di decarbonizzazione. Ma per farlo è strategico mantenere intanto il ruolo chiave del gas naturale. Il distretto di Ravenna è senza dubbio un crocevia avanzato di questa transizione.
Esiste un problema ordine pubblico in Emilia-Romagna? Quali sono eventualmente le sue proposte per la sicurezza dei cittadini?
Negli ultimi anni qui si registra un calo costante dei delitti, ma è un fatto che spesso i cittadini si sentano insicuri, soprattutto quando vedono violata la propria impunità o viene meno la certezza della pena. Per la sicurezza pubblica si deve quindi fare di più, le forze dell’ordine vanno adeguatamente formate e pagate, e non si possono scaricare sui Comuni queste responsabilità. Né si può far passare il messaggio ai cittadini “fate da soli, arrangiatevi”, come fanno i nostri avversari, perché la sicurezza è un bene comune e spetta alle istituzioni garantirla, anzitutto allo Stato. La Regione non ha competenze dirette in materia, ma stiamo sostenendo la riqualificazione urbana di grandi complessi edilizi o di aree urbane degradate e a rischio di criminalità; sosteniamo e finanziamo i Comuni nella diffusione dei sistemi di videosorveglianza intelligenti sul territorio e nell’innovazione tecnologica delle dotazioni della polizia locale. Poche settimane fa abbiamo varato un concorso unico regionale per l’assunzione di 138 agenti di Polizia locale, che dopo il periodo di formazione prenderanno servizio in 20 Comuni, Unioni e Province dell’Emilia-Romagna. È’ stata la prima volta e così facendo non solo assumeremo e formeremo personale più specializzato, ma facciamo risparmiare in media 8.500 euro ad agente rispetto a quando i concorsi li facevano i singoli Comuni. Risorse che potranno essere reinvestite in sicurezza e servizi anziché in burocrazia. La politica seria costruisce soluzioni, quella incapace urla i problemi e troppe volte specula sull’insicurezza dei cittadini.
L’immigrazione costituisce una risorsa (anche in termini di popolazione attiva e quindi contribuente) o è solo un problema?
È entrambe le cose. È una risorsa per un Paese che è invecchiato: senza immigrati non avremmo né i contributi per pagare le pensioni, né persone che si prendo cura dei nostri anziani, solo per fare due esempi. Ed è anche un problema, perché l’integrazione non è sempre facile e spesso le contraddizioni più forti si scaricano sui quartieri popolari, nell’accesso ai servizi, nella convivenza tra diversi. Premesso che la solidarietà è un valore come lo è la legalità, dobbiamo rafforzare il patto tra diritti e doveri: chi viene qui è il benvenuto nella misura in cui rispetta le regole e partecipa attivamente alla crescita della comunità, senza discriminazione di colore, religione, costumi. Ma chi non rispetta le regole o non ha titolo per stare nel nostro Paese deve essere espulso. C’è poi un lavoro importante da fare sui servizi, perché non si generino conflitti nell’accesso: insieme ai comuni dobbiamo collaborare in questa direzione, senza scaricare i problemi e le contraddizioni sulle comunità.