Pensare un po’ meno da medici
Sul New York Times del 14 gennaio è stato pubblicato un articolo con un titolo piuttosto provocante: To fight Covid we need to think less like doctors. In sintesi viene detto che curare una persona e proteggere una popolazione sono due cose molto differenti e richiedono differenti priorità, decisioni e modi di pensare: “Può sembrare contro-intuitivo, ma per curare il paese e porre la nostra risposta al Covid-19 sul binario giusto, dobbiamo pensare meno come medici”. Infatti, le cure individuali e le politiche sanitarie sono due cose diverse. Le politiche di protezione sanitaria dal Covid-19 non sono una cura su larga scala, ma richiedono un approccio di altro tipo rispetto all’assistenza individuale. Si tratta di un salto di qualità, non di quantità.
I medici hanno la responsabilità della vita di una persona e per questo (giustamente) tendono a essere conservatori, a non rischiare e a cercare la perfezione. Si preoccupano, come vuole il loro primo comandamento, innanzitutto di “non nuocere”. Si veda la marea di analisi inutili che spesso prescrivono (e qui a dire il vero la colpa è anche del paziente). In alcuni casi questa mentalità fondata sull’individuo (e non sulla popolazione) ha ispirato alcune scelte di politica sanitaria nel nostro paese. Si pensi alla centralità del tampone molecolare che ha dominato fino a qualche settimana fa. Oppure all’obbligo della mascherina all’aperto. Oggi, in Emilia-Romagna basta solo il test antigenico fai-da-te per uscire dalla quarantena. L’attitudine “individualista” spinge a rifiutare qualsiasi intervento che non sia quasi perfetto. Oggi, con quasi la maggioranza delle persone vaccinata con tre dosi, è giusto essere più elastici con la scuola, visto che poi è provato che le classi non sono il luogo dei contagi maggiori.
Le vaccinazioni sono il modo più efficace per ridurre i rischi di complicazioni dovute al Covid ma, come recita il titolo di un recente articolo de The Atlantic: Stiamo chiedendo l’impossibile ai vaccini. La sterilizzazione immunitaria è un “mito biologico”. Continueremo ad ammalarci, ma senza esiti letali grazie alla medicina, alla biologia e alla farmacologia. E non è affatto poco.
Chiaramente, con questo non si deve minimizzare il pericolo del Covid, solo riconoscere che molto è stato fatto e che per un po’ di tempo dovremo convivere con esso. Bene abbiamo fatto finora a insistere sulla severità e sulle misure “simboliche” come la mascherina all’aperto, ma per il nostro futuro endemico ci vogliono delle misure sanitarie “croniche” e non più “acute”. Delle misure sociali, e, se si può, “socievoli”.
Antonio Maturo, Professore di Sociologia della salute Università di Bologna, Campus Romagna