La crisi in Georgia e una mediazione che solo l'Europa può offrire
Sgombriamo il campo da equivoci: quello che sta avvenendo in Georgia in questi giorni non è la ripetizione di un altro Majdan, cioè della rivoluzione pacifica che nel novembre del 2013 ha occupato la piazza centrale della capitale ucraina. Non può esserlo per il semplice fatto che la prima delle rivoluzioni "colorate", come vengono definite in gergo le mobilitazioni di massa che hanno portato a cambi di regime nei Paesi dello spazio post-sovietico, si è verificata proprio in Georgia alla fine del 2003. Allora a cadere fu il regime di Eduard Shevardnadze, l'ultimo ministro degli esteri dell'Unione sovietica salito ai vertici dello stato dopo la guerra civile che aveva insanguinato il Paese all'indomani dall'indipendenza da Mosca.
Fu chiamata "rivoluzione delle Rose" quella che portò al potere Mikhail "Misha" Saakashvili come presidente e Zurab Zhvania come primo ministro, un caro amico prematuramente scomparso in circostanze ancora da chiarire. Mi trovavo anch'io tra la folla che assediava il parlamento in quei giorni lungo il corso Rustaveli, l'arteria principale di Tbilisi. La gente reclamava democrazia e trasparenza ma soprattutto la fine di un regime corrotto che stava trascinando la Georgia nel baratro. Dopo settimane di manifestazioni di massa il vecchio Shevardnadze, per certi versi incolpevole e inconsapevole di quello che stava accadendo, fu detronizzato e si inaugurò una stagione di rinnovamento che guardava all'Europa per uscire dall'orbita russa.
I georgiani non hanno mai amato i russi. E' il classico stato d'animo di chi vive a ridosso di un vicino ingombrante che nutre ambizioni coloniali. Davanti al parlamento di Tbilisi risalta il monumento che ricorda la strage del 9 aprile 1989 quando i manifestanti pro-indipendenza vennero attaccati dai militari sovietici. Il venti per cento del territorio georgiano è di fatto occupato dalla Russia che controlla le due provincie di Abchazia e Ossezia meridionale. Proprio in Ossezia si è consumata l'ultima tragedia della Georgia con la guerra che nell'agosto del 2008 ha visto l'esercito russo avanzare fino alle porte di Tbilisi per ritirarsi, poi, grazie alla mediazione europea. La guerra di Ossezia è ancora una ferita aperta nella società georgiana, specialmente in quella parte che si riconosce nell'ex presidente Saakashvili attualmente in carcere, in gravi condizioni di salute per i ripetuti scioperi della fame, dove è accusato di abuso d'ufficio e malversazione. La voglia di rivincita non si è mai sopita anche se al potere oggi c'è una forza politica, il Sogno Georgiano, che ha cercato di trovare un modus vivendi con la Russia pur mantenendo saldo l'orientamento occidentale del paese.
Il 3 marzo dello scorso anno la Georgia ha presentato domanda di adesione all'Ue che a giugno ha risposto garantendo una prospettiva europea subordinata al rispetto di dodici priorità che riguardano anche la giustizia e lo stato di diritto. Il progetto di legge sugli agenti stranieri votato in prima lettura e poi rigettato dal parlamento di Tbilisi dopo le imponenti manifestazioni di piazza complica il cammino della Georgia verso l'Unione. Polonia e Repubbliche Baltiche, inoltre, lamentano un atteggiamento troppo morbido di Tbilisi verso Mosca dopo l'aggressione all'Ucraina. C'è chi si spinge fino ad auspicare l'apertura di un fronte meridionale per circondare ed indebolire l'azione russa nel Donbass. In questi mesi di guerra quasi 60.000 russi in dissenso con il Cremlino hanno trovato rifugio in Georgia trasferendo anche le attività di impresa e i conti correnti che hanno generato un piccolo boom economico. I Paesi europei che hanno adottato le sanzioni nei confronti di Mosca accusano, dietro le quinte, la Georgia, che non l'ha fatto, di arricchirsi sulla pelle degli ucraini. C'è una pratica costante nelle giovani democrazie dove chi vince le elezioni pensa di avere il diritto di occupare in toto le istituzioni dello stato appropriandosi anche dei suoi beni. Era accaduto nel 2004 con l'ascesa al potere di Saakashvili e succede oggi con il Sogno Georgiano al governo. Democrazia, però, non vuol dire dittatura della maggioranza. La società georgiana, sia politica che civile, è spaccata, vittima di una polarizzazione lacerante che rischia di pregiudicare il percorso verso l'Ue. C'è bisogno di una mediazione esterna che solo l'Europa può offrire. Attendiamo le prossime mosse.