L'allargamento della Ue, quando intenzioni e volontà non coincidono

"La Germania consentirà l'ingresso di nuovi paesi solo quando l'Ue sarà riformata", ha dichiarato nei giorni scorsi il segretario di stato tedesco alla cancelleria federale Jorg Kukies sottolineando come l'allargamento nelle attuali condizioni metta a rischio la capacità di agire dell'Europa. 

Nei mesi scorsi era stato lo stesso cancelliere Olaf Scholz, in un discorso all'università di Praga, a pronunciarsi a favore del passaggio dal voto all'unanimità a quello a maggioranza qualificata in materia di politica estera e di fisco. Le parole di Kukies erano rivolte, in particolare, a quei tredici Paesi Membri che al termine dei lavori della Conferenza per il Futuro dell'Europa nel maggio di quest'anno avevano messo in guardia da una prematura modifica dei trattati esistenti. Fra questi vi sono stati come Polonia e Ungheria che spingono per un ampliamento rapido dell'Ue. Allargamento e approfondimento vanno di pari passo, è la risposta della Germania, sostenuta da Francia e Spagna. La guerra in Ucraina ha reso ancora più urgente l'inclusione dei sei Paesi dei Balcani occidentali nell'Unione ma la strada per arrivarci è ancora piena di ostacoli. Proprio mentre a Strasburgo nell'ultima plenaria l'Europarlamento discuteva della strategia di allargamento in Kosovo si consumava una nuova crisi fra Pristina e Belgrado sventata all'ultimo istante, è opportuno ricordarlo, grazie all'incisiva mediazione europea. Oggetto della diatriba, questa volta, era l'obbligo di sostituzione delle targhe della Serbia con quelle della repubblica del Kosovo sulle automobili dei cittadini kosovari di etnia serba. Il governo di Pristina ha accettato di sospendere il provvedimento in cambio della riapertura dei negoziati con Belgrado finalizzati alla piena normalizzazione delle relazioni bilaterali anche se le posizioni delle parti sono diametralmente opposte. Senza un accordo, hanno ribadito da Bruxelles, le porte dell'Unione europea rimangono chiuse.                                   

"Il mancato allargamento comporta un grave costo strategico e può compromettere la sicurezza e la stabilità nel nostro continente", ha affermato l'assemblea di Strasburgo nella risoluzione adottata con ampia maggioranza a conclusione del dibattito. Nel documento gli eurodeputati sostengono opportunamente che "la stabilità, la sicurezza e la resilienza democratica dei paesi candidati sono indissolubilmente legate alla sicurezza, alla stabilità e alla resilienza democratica dell'Ue" sottolineando che l'avanzamento nel percorso di adesione di ciascun paese dell'allargamento dipende dai progressi irreversibili realizzati attraverso le necessarie riforme che riguardano, in particolare, lo Stato di diritto. Anche se non è vincolante, il testo dell'europarlamento insiste sull'abolizione della regola dell'unanimità nel Consiglio che concede, di fatto, il diritto di veto ai singoli Paesi Membri nei confronti di quelli candidati come è avvenuto recentemente nel caso della Bulgaria con la Macedonia del Nord. Per quanto riguarda la Serbia, in particolare, l'eurocamera chiede a Belgrado l'allineamento con le sanzioni europee nei confronti della Russia. Il più importante stato balcanico, infatti, è l'unico fra quelli candidati che non applica le misure restrittive verso Mosca decise a Bruxelles ponendosi fuori dal solco della politica estera comune. Nel caso la Serbia non si adeguasse, è il parere dei deputati europei, si dovrebbero interrompere i negoziati di adesione e riconsiderare i finanziamenti. Si tratta di un messaggio forte e chiaro che, però, per il momento non sembra scuotere il governo di Belgrado.                                                                 

"L'Ue potrebbe essere più ambiziosa evitando le tattiche dilatorie", mi dice Ilir Deda, ex deputato del Kosovo attento conoscitore della regione. "Bruxelles dovrebbe raddoppiare gli incentivi finanziari mostrandosi, nel contempo, più rigorosa per quanto riguarda i criteri di adesione", osserva. A suo parere i sei paesi dei Balcani dovrebbero entrare nell'Unione in un pacchetto unico per evitare veti incrociati e facilitare la soluzione delle controversie esistenti. "L'Ue dovrebbe giocare tutto il suo potere di trasformazione", osserva. Intenzioni e volontà, tuttavia, non coincidono. 

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