Il politico direttore è troppo

Nell’uovo di Pasqua i giornalisti italiani hanno trovato una brutta sorpresa: la nomina di Matteo Renzi direttore editoriale del Riformista. Nulla di personale, ma la vicenda getta un’ombra sulla nostra professione e sull’assenza di regole in un mondo che sembra una giungla.
Il rottamatore è senatore, leader di un partito (Italia Viva), conferenziere molto gettonato, ex sindaco di Firenze, ex presidente del Consiglio e altro ancora. Un politico schierato che non può garantire l’indipendenza della testata e nemmeno l’equilibrio necessario.
Un particolare: il direttore responsabile deve essere iscritto all’Ordine dei giornalisti, risponde penalmente di quanto pubblica, il direttore editoriale no. Cosa succederà a questo punto? Chi ha la querela facile schiva le querele… Non solo: Renzi andrà nei talk show le sere pari da senatore e le dispari da direttore? Nel giornale come tratterà il suo partito, sempre con i guanti? Senza contare che l’alleato del Terzo polo, Carlo Calenda, si è infastidito assai affrettandosi a dichiarare che è estraneo all’operazione. C’è poi da ribadire che la scelta mortifica i tanti giornalisti che hanno fatto anni di gavetta prima di guadagnare qualche grado, mentre Renzi è un paracadutato di lusso. Senza aver mai fatto vita di redazione è stato catapultato sul ponte di comando. Resta da capire se riproporrà la rottamazione come ai tempi del Partito democratico, attirandosi ire e antipatie.
Quando arrivò a Mantova da capo del governo, per l’inaugurazione della Capitale italiana della cultura, un gruppo di contestatori espose un enorme striscione davanti al Teatro Bibiena: “Renzi ciocapiat”.
Che in romagnolo si potrebbe tradurre in vari modi.

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