È uscito ieri il nuovo album di Dodi Battaglia, già chitarrista dei Pooh e noto soprattutto come grande strumentista. Ma Dodi è anche un ottimo compositore.
Ascoltando i brani del disco “Inno alla musica” si denota un equilibrio fra ricerca melodica e soluzioni armoniche elaborate.
«Quando mi sono messo a lavorare a questo album ho messo tutto quello che l’esperienza mi ha insegnato in questi anni. Il disco ha un approccio molto chitarristico e di conseguenza molto energico, vicino alla maniera che ho di intendere la musica. E comunque sì, questo disco è pervaso da queste due anime, la prima più energica, di chitarrista rock e la seconda più legata a quella che è stata la mia carriera insieme ai Pooh dove la musica era più arrotondata e melodica».
Nel video del singolo “Resistere” un esperto chitarrista può vedere che adotta posizioni anche non comuni sulla chitarra, segno della sua grande preparazione ed esperienza.
«Nella mia maniera di suonare prendo un’espressione presa a prestito da Franco Mussida: non mi guardare le mani, son fatti miei. La mia maniera di suonare è un finto facile che non mette la priorità sulla difficoltà dell’esecuzione ma in ciò che comunico quando suono».
Nel disco si è messo alla prova come scrittore di canzoni con brani che sembrano più personali nella scrittura come in “Un film da festival” oppure “Quasi un miracolo”.
«È la prima volta che mi succede di fare un disco da quando i Pooh si sono sciolti ed è la prima volta che collaboro attivamente alla stesura dei testi. Due sono stati affidati a un grande autore che si chiama Roberto Casini, collaboratore di Vasco Rossi, ma negli altri mi sono divertito molto ad essere dentro al significato dei testi. Ad esempio ne “Il coraggio di vincere” noi tutti dobbiamo avere voglia di raggiungere obiettivi importanti della nostra vita mantenendo sempre modestia e umiltà negli atteggiamenti, con competenza e preparazione».
In “Una storia al presente” c’è un tenero ricordo di Stefano D’Orazio (batterista dei Pooh). Qual era il vostro rapporto dentro e fuori dal palco?
«Quella canzone è un atto dovuto verso Stefano perché era una persona speciale. Aveva la caratteristica bonarietà dei romani, da pacca sulle spalle. Quella canzone mi ha dato la possibilità di riuscire a dire a lui le cose che non sono riuscito a dirgli in tanti anni di carriera e spettacoli».
In generale “Inno alla musica” è un disco che rispecchia molto la sua personalità e il suo modo di essere. Anche nei confronti della pandemia il suo approccio è di avere la forza di superare un brutto periodo con consapevolezza e coraggio.
«Ho fatto già diversi dischi e scritto molte canzoni ma non mi ero mai esposto in prima persona. A disco finito mi sono reso conto di questa sensazione che il disco riesce a creare e dell’ispirazione che è venuta fuori».
La tendenza delle produzioni odierne e, di conseguenza, il gusto musicale dei giovani, è più orientato verso l’elettronica. Secondo lei torneranno i suoni di chitarra o è la fine di un’epoca?
«Oggi con le tastiere puoi “quantizzare” i suoni, semplificando l’esecuzione. La chitarra invece va suonata, i suoni vanno cercati con fatica e abnegazione. Per quello che mi riguarda ho fatto un disco molto suonato e pieno di “chitarrismo”, contrariamente a quello che è il trend. Le produzioni odierne, realizzate per lo più al computer, sfornano brani piatti, molto simili. Dischi come il mio suonano come “outsider”. La chitarra sì, sta vivendo un momento di opacità ma torneremo vincenti».