Un secolo di rivolgimenti e altre minuzie. Il racconto di un inviato
Poeta, scrittore e storico inviato Rai, premio Viareggio per la poesia e premio Campiello-Giuria dei letterati per la narrativa, Ennio Cavalli torna nella sua Riccione il 9 agosto alle ore 21.15 per la rassegna Senza fine. Parole e libri sotto luna e stelle nel piazzale davanti al Palazzo del Turismo, in dialogo con la giornalista di Repubblica Stefania Parmeggiani, per presentare “Ci dice tutto il nostro inviato” (Rubbettino editore). Fresca notizia, il libro è entrato nella terna del premio di saggistica Città delle Rose, a Roseto degli Abruzzi.
Un reportage lungo tre secoli se si considerano i “grandi vecchi” con un piede nell’Ottocento e gli accadimenti del nuovo millennio, frutto di un tipo di giornalismo, quello radiofonico, che sa ancora emozionare.
Cavalli, che tipo di racconto è quello che ci presenta in questi palpitanti reportage?
«La mia vita di inviato ha sfiorato eventi drammatici come gli anni di piombo, a partire dall’agguato delle Brigate Rosse a Moro e alla sua scorta in via Fani, a Roma, nel 1978. Poi rivolgimenti inaspettati come la caduta del muro di Berlino e il successivo dissolversi dell’Urss. A Berlino la frase più ripetuta, “Ich verstehe wenig, Ci capisco poco”, preparava il terreno alle molte contraddizioni che hanno ridisegnato l’Europa all’insegna della globalizzazione. Ero in Russia per il Festival biennale del cinema di Mosca, nel 1989 e nel 1991, ma lasciai perdere divi e pellicole per seguire fatti e protagonisti della temperie che stava cambiando il Paese. Eravamo in piena Perestroika. Le idee e gli scompensi dell’era Gorbachov facevano presagire un nuovo e precario ordine mondiale. Intervistai Elena Bonner, la vedova del fisico dissidente Sacharov, il poeta Evtushenko, fui ricevuto al Kgb, volevo verificare l’attendibilità del tentativo di distacco dai metodi staliniani che cercavano di accreditare. Ho chiamato interviste-matrioska gli incontri con personaggi come Bacchelli, Moretti, Palazzeschi, Montale, Prezzolini, tutti nati nell’Ottocento e intenti a guardare alla contemporaneità e al futuro dal proprio osservatorio. Assolvevano così, con la loro opera e la loro testimonianza, al mandato di rappresentare tre generazioni. Infine i Nobel per la scienza incrociati a Stoccolma nel corso delle mie ventisei trasferte consecutive. Un record, credo. Normalmente l’inviato parte quando c’è un connazionale sul podio. Cominciai con Rita Levi-Montalcini, premiata per la medicina nel 1986, ma poi convinsi i vari direttori che il Nobel è altrettanto importante se la spunta l’esule russo Josif Brodskj, un poeta messicano di nome Ottavio Paz, un caraibico come Derek Walcott o l’allora sconosciuta polacca Wislawa Szymborska. Così non sono mai mancate al Giornale Radio Rai le mie cronache dal Baltico. Non sono mai mancati per più di un decennio neppure i collegamenti dai Festival del cinema di Venezia, di Cannes, di Berlino, da Sanremo. Un sacco di curiosità sul dietro le quinte di questi eventi serpeggiano nel libro, oltre alle analisi e alle testimonianze più rigorose e marcate di cui parlavo sopra».
Qualche episodio inedito tra queste pagine?
«Arrivo nella stanza d’albergo dove mi attende Gina Lollobrigida, sola e ancora bellissima. Aveva sessant’anni. Per prima cosa si gira di spalle e mi chiede di aiutarla ad allacciare la cerniera dell’abito da sera che indossa. Mi sembrava di essere in un film di Hollywood. Invece eravamo a Boario Terme al Funny film festival. Le avevano intitolato una strada, facendole credere che era per sempre. Invece no. Al Festival di Sanremo noi della radio avevamo le postazioni accanto ai camerini dei cantanti. Patty Pravo rientra dietro le quinte dopo aver cantato splendidamente E dimmi che non vuoi morire di Vasco Rossi. Mi chiede di accenderle una sigaretta e confida di aver sbagliato le parole, di averne sostituita qualcuna all’impronta. La rassicuro: non se ne è accorto nessuno».