Tom Waits - Swordfishtrombones
La ristampa in cd, vinile e digitale degli album in studio incisi da Tom Waits per la Island Records tra il 1983 e il 1993, rimasterizzati per la prima volta dai nastri originali, ci offre l’occasione di parlare di un artista che, per tutta la sua carriera, non si è fatto scrupoli di coerenza, ha evaso le facili classificazioni e ha scritto musica originale che sfida qualsiasi tentativo di definizione. Basti pensare, a titolo d’esempio, ad uno dei dischi in questione, “Swordfishtrombones” (gli altri sono “Rain dogs”, “Franks wild years”, “Bone machine” e “The black rider”), pubblicato nel 1983.
In questo album Waits appare affascinato dai suoni di cui è fatta la musica e finisce per dar vita ad una specie di teatro di strada, rumoristico e dissonante. Composizioni quanto mai spigolose, suonate con strumenti anomali, in cui grande importanza viene data alla ricerca timbrica e all’impalcatura ritmica e sulle quali aleggia lo spirito di Harry Partch, insolita figura di compositore vagabondo e creatore di strumenti improbabili.
A dare profondità al tutto, la valenza poetica dei testi [“Ho esploso 16 colpi da un revolver calibro 30-6 / E il Corvo Nero s’è infilato attraverso un buco nel cielo / Così ho speso fino all'ultimo spicciolo per un vecchio mulo da soma / Oh, e mi sono costruito una scala con una marimba presa da un banco dei pegni / L’ho appoggiata su un dente di leone / L'ho appoggiata su un dente di leone / L'ho appoggiata su un dente di leone” (16 Shells From A Thirty-Ought-Six); “Tornò a casa dalla guerra con un casino in testa / Una Brougham DeVille truccata / Un paio di gambe che si aprivano come ali di farfalla / E un cane pazzo che non voleva starsene fermo seduto / Conobbe all’esercito della salvezza una ragazza / Che soffiava lacrime amare in un trombonepescespada / Andò a letto nel fondo del lago Tenkiller / E disse <<Caspita, ma è bello essere a casa>>” (Swordfishtrombones); “Di venerdì c’è un funerale e di sabato un matrimonio / Sey tiene una pistola sul lato del registratore di cassa / I fottuti camion delle consegne fanno troppo rumore / E non ci facciamo più consegnare il burro / Nel quartiere / Nel quartiere / Nel quartiere” (In The Neighborhood); “Ho giocato a biliardo con un nano / Finché ha smesso di piovere / E ho comprato una camicia a maniche lunghe / Con dei cavalli sul davanti / Qualche gomma e un accendino e un coltello / E un mazzo di carte nuovo (con delle ragazze sul retro) / E mi sono seduto e ho scritto una lettera a mia moglie / E le ho detto / Piccola, sono così lontano da casa / E mi manchi tanto / Da solo non ce la faccio / Ti amo tanto” (Shore Leave)], unita ad una notevole sensibilità melodica, e la “sconcertante” vocalità del Nostro, radicalmente antigraziosa, artefatta dall’alcol, dal fumo e dall’intelligenza tattica - se solo si analizza un po’ più a fondo la musica di Waits, ci si rende conto che ha tanti cambi di accordi appena accennati e il risultato “ricorda una vecchia auto che ha bisogno di essere messa a punto”; tutti questi suoni, alla fine, creano un ritmo che è la base perfetta per la sua voce...
“Waits - ha scritto Patrick Humphries - pare offrire nella sua opera una sorta di verità, il suo modo di rappresentare coloro le cui schiene sono spezzate da una società che esige il successo e si preoccupa poco dei fallimenti è pietoso senza sembrare penoso. Egli non ha mai glorificato lo squallore, ne ha riconosciuto semplicemente l’esistenza, identificandosi con coloro i quali devono sbarcare il lunario in tal modo”.
Nessuno meglio dell’artista americano, si può aggiungere, e “Swordfishtrombones” lo dimostra una volta di più, ha saputo farsi cantore dell’emarginazione, dei figli reietti “in bilico perenne tra beatitudine ed ebetitudine”,
“La mia memoria non è una fonte di dolore. Parti di essa sono come un monte dei pegni, altre parti sono come un acquario e altre ancora come un cassetto. Penso che ci sia un luogo in cui la nostra memoria diventa distorta come uno specchio da luna park: quella è l’area che più mi interessa” (Tom Waits).