Retrospective: Selected Recordings 1973-2023: Bryan Ferry
Questo box ripercorre i 50 anni di carriera di Bryan Ferry. Cinque dischi divisi per categorie, dai grandi successi ai brani con l’orchestra, dalle cover alle canzoni meno conosciute. Con un inedito, Star, inciso insieme a Trent Reznor. Una raccolta - dalla quale emerge la versatilità dell’artista britannico, capace di esplorare un’ampia gamma di generi musicali - che ci offre lo spunto per parlare, seppur brevemente, dei Roxy Music, di cui Ferry, che è stato fondatore e leader del gruppo, presenta alcuni brani, riproposti in una veste diversa.
Con la musica dei loro primi due album (una musica dalla doppia anima, quella del dandy Ferry e quella dell’alchimista Brian Eno...), i Roxy Music diedero il via, negli anni Settanta, ad una rivoluzione di fondamentale importanza per l’evoluzione del rock. Nelle canzoni della band inglese - che mescolava rock elettrico, jazz, musica contemporanea, rock‘n’roll, elettronica - convivevano l’oltraggiosa spontaneità del rock degli anni Cinquanta e Sessanta e un approccio di stampo futurista. Brani la cui architettura sonora poggiava su ritmi spezzati, chitarre distorte e “interventi schizoidi di sax e di sintetizzatori”. I Roxy Music non disdegnavano la cacofonia, infarcivano i loro pezzi di citazioni (riferimenti ai Beatles, a Richard Wagner, a Duane Eddy, a Sergej Prokofiev, al cinema), scrivevano testi spesso malinconici e introspettivi. Il tutto per regalare passione ed emotività ad un progetto sfaccettato e profondamente intellettualizzato, dove la notevole capacità melodica di Ferry, testimoniata appieno anche da questa raccolta, si andava a sposare con le “trovate” di uno sperimentatore innamorato del rumorismo e dell’elettronica come Eno. Una parodia di vita (dominata dallo stile camp, dall’esaltazione del kitsch e da una sensualità prorompente e diretta), quella che portavano in scena i Roxy Music, le cui composizioni erano impreziosite dalla voce di Ferry, relativamente forte, dal timbro medio chiaro ma con una buona dose di frequenze basse, in grado di conferirle presenza e carattere (il cantante inglese, come conferma “Retrospective: Selected Recordings 1973-2023”, ha sempre dimostrato di conoscere bene il suo strumento, alternando sapientemente vibrato e glissati per mantenere dinamica la resa vocale senza che nulla suonasse mai troppo forzato; il resto lo ha fatto la sua spiccata teatralità...).
Ci vorrebbero ancora pagine e pagine per analizzare al meglio la musica dei Roxy Music, piena di dettagli significativi. Ma forse, alla fine, sono sufficienti le parole di Andrea Silenzi, giornalista e critico musicale: “Coraggiosamente a cavallo tra passato e futuro, i Roxy Music, con i primi due album, misero in piedi una sorta di farsa intellettuale, ricca di simbologie e di spinte individualiste, che frantumò in maniera definitiva il rigido schematismo ideologico della cultura hippie, che non prevedeva alcuna concessione alla sofisticazione e al culto dell’assurdo. Accanto a Eno e Ferry si muovevano musicisti di un certo spessore come Andy McKay, sassofonista di grande gusto musicale, Phil Manzanera, chitarrista di bassa estrazione sociale che finiva per regalare al gruppo l’energia e la rabbia tipiche della working-class, e il batterista Paul Thompson. Il miracolo-Roxy stava soprattutto nell’equilibrio delle parti e nella capacità di dar vita ad uno scenario che sembrava, già da allora, una indicazione programmatica del futuro del rock”.