Pietre Miliari: Keith Jarrett - The Köln Concert

“Keith Jarrett, da sempre, affronta le performance di solo piano in un modo non comune a nessun altro artista. Le sue fonti di ispirazione e le metodiche di intervento sono le più varie, dal gospel al blues, dalla musica classica al jazz. La superlativa tecnica pianistica è sempre al servizio dell’espressività e, per sua stessa affermazione, sappiamo che nessuno dei temi proposti è precotto. Tutto nasce al momento della performance e questo implica una serie di rischi, oltre a richiedere una preferenziale linea di connessione con l’invisibile”.

Le parole di Enrico Merlin hanno il pregio di cogliere quella che è l’essenza del percorso musicale intrapreso da Jarrett, estroso virtuoso del pianoforte. Un percorso segnato dalla coerenza e che trova le proprie radici negli anni Settanta, una stagione in cui i musicisti hanno rielaborato in modo creativo il concetto di free jazz del decennio precedente, stabilendo una nuova libertà che non significava più soltanto andare al di là della tonalità ma piuttosto una sorta di melodizzazione e, soprattutto, quella sovrana disponibilità in tutti i campi della musica che è una delle chiavi interpretative per comprendere l’universo contemporaneo.

“The Köln Concert”, uscito nel 1975, si può considerare una delle massime celebrazioni del processo creativo della musica nel suo effettivo divenire. Un solo pianistico giocato soprattutto sul registro medio, sorretto da una vena improvvisativa che pare non si esaurisca mai e da uno stile nel quale svolgono un ruolo decisivo gli studi chitarristici di Jarrett e, in particolare, quelli relativi al fingerpicking, tecnica che egli riproduce sulla tastiera. Il musicista nato in Pennsylvania - che distilla idee melodiche, ritmiche e armoniche (in lui si trovano, tra l’altro, rifugiati nella modalità che li lega insieme, accordi blues e armonie a toni interi debussyane...) - dimostra una volta di più di essere “un vero teorico del tocco e del suono” e un profondo conoscitore anche della tradizione del piano jazz.

Il flusso sonoro contenuto in “The Köln Concert” rivela un’incomparabile qualità poetica: nessuno come Jarrett riesce a far scaturire dal pianoforte quell’eccitazione estatica che solo i grandi jazzisti del passato riuscivano a comunicare. In più, il suo modo di concepire la musica non è mai disgiunto dal gusto della scoperta e della ricerca continua.

“Una sera - ha raccontato il pianista americano - Miles Davis mi disse: ‘Hey Keith, tu stai suonando lo strumento sbagliato’. Lo sapevo già. Ho sempre voluto che il piano suonasse come qualcos’altro. Miles fu il primo a capirlo”.

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