Paul Elliott - AC/DC. Per sempre sulle autostrade del rock
Questo libro, pubblicato dalla casa editrice Hoepli in occasione del cinquantesimo anniversario della band, racconta la storia degli AC/DC, dagli esordi di “High voltage” fino all’ultimo album, “Power up”. Un resoconto dettagliato, impreziosito da un ricco impianto fotografico, che guarda soprattutto alla dimensione più intima del gruppo australiano, tra interviste esclusive, curiosità, aneddoti e testimonianze di altre rockstar. Pagine illuminanti che danno prova di quanto sia stato cruciale l’influsso degli AC/DC sulla musica rock e non solo.
“In ‘AC/DC. Per sempre sulle autostrade del rock’ - ha scritto Carmine Saviano - c’è quella volta in cui Malcolm Young, l’altra chitarra degli AC/DC, per poco non picchia i discografici perché vogliono ‘venderli’ - e gli dei dell’hard rock non li avrebbero mai perdonati - come la più grande punk band d’Australia. Ci sono le scorribande alcoliche di Bon Scott, il primo cantante del gruppo, fino all’ultima, quella della notte del 19 febbraio 1980 in cui a 33 anni si accascia per sempre in una Renault 5 parcheggiata all’esterno di un pub di Camden. C’è la paura di Angus Young per il pubblico e la sua catartica trasformazione nello scolaretto per eccellenza dell’ultimo mezzo secolo di musica popolare, Chuck Berry versione bambola assassina”. E ci sono, si può aggiungere, i capolavori, a partire da “Back in black”, che merita forse un discorso a parte.
Con questo album, la band guidata dai fratelli Young arrivò a dare corpo, nell’ormai lontano 1980, ad una definizione di “rock duro” in grado di resistere alle ingiurie del tempo. Hard rock consegnato alle future generazioni, visceralmente immediato e contrassegnato da un approccio agli arrangiamenti privo di fronzoli (anche se non mancava qualche “raffinatezza”...). Dieci brani, dalla forte componente ritmica, che tendevano al colore strumentale, ad un’irruenza fonica allergica a intenti espressivi “gradevoli”. Quella di “Back in black” era un’estetica musicale figlia del blues e del rock’n’roll, fatta di melodie che rivelavano un’impronta diretta e poco problematica, di formule accordali semplici, di una sezione ritmica che guardava all’essenzialità. Su questo tessuto, che denotava una voluta riduzione dei mezzi, andavano ad innestarsi gli elementi più caratteristici dell’album e, in generale, della musica degli AC/DC: gli assolo e i riff di chitarra, pieni d’inventiva, dei fratelli Young; la qualità fisica e icastica del canto di Brian Johnson (una voce, la sua, baritonale, graffiante, “faringale”, tutt’altro che domestica e rassicurante...); i testi che facevano riferimento alla morte e ad una visione edonistica della vita [“Whiskey, gin e brandy / Con un bicchiere mi sento piuttosto a mio agio / Sto cercando di camminare in linea retta / Su una poltiglia acida e del vino scadente / Quindi unitevi a me per un drink ragazzi, faremo un gran casino / Quindi non vi preoccupate per domani / Vivete oggi / Dimenticate il conto / Andremo all’inferno per pagare (Have A Drink On Me); “Sono un tuono rotolante, una pioggia battente / Sto arrivando come un uragano / I miei lampi brillano nel cielo / Tu sei ancora giovane ma stai per morire / Non farò prigionieri, non risparmierò vite / Nessuno si ribellerà / Ho la mia campana, ti sto portando all’inferno / Ti sto prendendo, Satana ti ha preso” (Hells Bells); “Indietro nel buio / Colpisco il sacco / Sono stato via troppo tempo / Sono felice di essere tornato / Sì, mi sono liberato / Dal cappio / Che mi faceva penzolare / Ho guardato il cielo / Perché mi fa stare bene / Dimentica il carro funebre / Perché io sono immortale / Ho nove vite, gli occhi di un gatto / Le ho usate tutte e sto correndo selvaggiamente” (Back In Black); “Sono come il male, arrivo sotto la tua pelle / Proprio come una bomba pronta per esplodere / Perché sono illegale, io ho tutto / Quello che voi tutte avete bisogno di sapere / Vi tirerò giù, giù giù giù / Così non state a perdere tempo in giro / Lo premerò, lo premerò / Lo premerò quel grilletto” (Shoot To Thrill)].
<<Per noi - ha detto Angus Young - si è trattato alla fine di fare, con “Back in black” e tutti gli altri dischi che abbiamo registrato, quello che ci veniva meglio; e quello che ci veniva meglio era suonare rock’n’roll. Veniva fuori così, naturalmente. Forse derivava dagli strumenti che usavamo, due chitarre, il basso e la batteria. Basta mettere insieme questi elementi e ciò che ne deriva è del buon rock, del buon “driving rock”. Era questo il nostro stile. Ci abbiamo messo molto tempo a far sì che fosse accettato, ci abbiamo messo degli anni. Poi la gente ha imparato a riconoscerlo. Noi volevamo che il pubblico, appena ascoltate le prime note, dicesse: “Sono loro! Nessun altro suona così!”>>.