Libro: Matthew Blake - Anna O
Due cadaveri, un coltello e una donna che nessuno riesce a svegliare. Si potrebbe riassumere così la trama di “Anna O” (La nave di Teseo), che racconta la vicenda di Anna Ogilvy, una scrittrice venticinquenne di talento, che ha fondato un suo giornale, proviene da una famiglia importante e ha un brillante futuro davanti a sé. Una notte, però, durante il sonno, pugnala a morte i suoi due migliori amici e, da quel momento, non si sveglia più. È stata colpita da quella che i neurologi chiamano “sindrome della rassegnazione”, un rarissimo disturbo psicosomatico che la induce in uno stato di sonno perenne. Sarà Benedict Prince, uno psicologo forense esperto nel campo dei crimini legati al sonno, ad indagare sul caso di Anna, nel tentativo di risvegliarla per far sì che possa essere finalmente processata.
“Anna O”, già pubblicato in trenta Paesi, è il debutto narrativo di Matthew Blake, laureato in lettere a Oxford e per dieci anni speechwriter per il Parlamento britannico. Grazie ad una struttura di romanzo programmata a tavolino per determinare la suspense, lo scrittore inglese, ricorrendo ad innumerevoli colpi di scena e al cosiddetto cliffhanger (ovvero l’interruzione di una scena nel suo momento culminante), arriva a costruire un giallo capace di infondere una stato di continua tensione e “di togliere il sonno a lettori e lettrici” (Giuliano Aluffi), .
Non è soltanto la tensione, però, a tenere avvinghiati alle 512 pagine del romanzo, perché, per dirla con le parole di Leonardo Sciascia, “il racconto niente è, tutto sta in come si porta”. E di questo “portamento” Blake si rivela perfettamente consapevole: basti pensare all’uso che fa della narrazione polifonica, al modo in cui delinea i personaggi, al suo orecchio per i dialoghi e all’atmosfera che riesce a creare. Ne scaturisce un thriller “letterario” che sottintende un’idea di narrativa più ampia e in grado di imporsi su quella di genere.
“Passa un bel po’ prima di trovare finalmente la forza per alzarmi dal pavimento. Mi asciugo gli occhi, faccio la doccia, mi cambio i vestiti. Affronto la situazione come ho sempre fatto. Sono come Anthony Hopkins in ‘Quel che resta del giorno’, senza gli immacolati abiti sartoriali. Trovo rifugio nelle comodità austere della rigidità del labbro superiore, nella repressione emotiva e nella malsana determinazione a mascherare paure profonde attraverso le piccole faccende domestiche.
Clara scherzava sempre dicendo che il mio metodo per affrontare il trauma era caricare la lavastoviglie o mettermi a passare l’aspirapolvere. Valuto lo stato dell’appartamento e poi cerco conforto spolverando e riordinando. Le mie emozioni potrebbero essere confuse. Ma il mio appartamento è ancora sotto controllo. Fare un movimento dopo l’altro è la mia terapia, il mio lettino freudiano. Come psicologo, penso che dovrei considerarlo il mio tratto distintivo. Non la cura con le parole ma la cura con il riordino. Un po’ alla Marie Kondo.
Questa casa ha bisogno di una pulizia approfondita, puzza di troppi piatti da asporto e tazze non lavate. Lavo il pavimento, passo l’aspirapolvere sul tappeto della camera da letto, cambio le lenzuola, intervengo furiosamente sulle macchie lasciate dal bagnoschiuma nella doccia e con delicatezza faccio brillare lo specchio del bagno. Mentre pulisco, penso a quella notte nel giardino dell’Abbey con Bloom e alle mie speranze di usare questo caso per rilanciare la mia carriera e fare colpo su Clara e KitKat. Sembra ridicolmente ingenuo ora. Bloom è morta. È Clara a salvare me, non il contrario”.
“Descritto dai maestri del noir come ‘l’apice della suspense’ (Jeffery Deaver) e ‘uno dei migliori thriller dell’anno’ (Lee Child), ‘Anna O’ si distingue dalla madre del whodunit (chi è stato - espressione gergale inglese per indicare un certo genere di gialli) e dalla maggioranza dei suoi epigoni per l’approccio stilistico. Blake scrive con la sicurezza di un romanziere di prim’ordine, portandoci nella terra di nessuno tra sonno e veglia” (Enrico Franceschini).