Libro: Georges Simenon - Gli altri

Cultura

“Gli altri”- pubblicato per la prima nel 1962 e ora riproposto dalla casa editrice Adelphi - è un romanzo scritto, caso più unico che raro nella vasta produzione di Georges Simenon, in forma di diario. Un “racconto senza dramma, ma non senza mistero”, come lo descrisse il critico delle “Nouvelles littéraires”, in cui il creatore di Maigret diventa, come accade spesso nei suoi “romans durs”, grande scrittore. Forte di una propensione a scrutare, in profondità, i moti dell’animo umano, arrivando all’essenza di un’umanità fragile e incostante, immersa qui nell’atmosfera soffocante di una città di provincia - universo angusto e abitudinario, con le sue rigide gerarchie sociali, i suoi riti immutabili e, soprattutto, il peso schiacciante dello sguardo altrui sul destino degli individui. Tramite la vicenda narrata dall’autore del diario, che si definisce “un mediocre soddisfatto”, lo scrittore belga ci racconta la crisi dell’uomo comune, attraverso la costruzione di personaggi trasportati al fondo di una tragica e sconcertante condizione. Il tutto grazie ad una miscela sapiente d’investigazione psicologica e d’intuizione climatica e ad un uso della lingua che si fa concreto, privo di orpelli e in grado di rivelare la propria “ingannevole” semplicità.

<<Per una misteriosa magia, avevo appena sentito, per pochi istanti, un contatto con un essere umano e, per quanto fugace fosse stato quel contatto, avrei voluto conservare il calore che avevo percepito dentro di me.

Sono rimasto seduto, da solo, al tavolino di quel caffè tranquillo, davanti ai due giocatori di biliardo che mi osservavano di sfuggita, e ho finito per chiedere al cameriere di portarmi un’altra acquavite.

Mi sono gingillato con progetti assurdi per il pomeriggio, come per esempio andarmi a sedere un momento nella cucina di mia madre, giusto per vedere qualcuno, per sentire una voce rivolgersi a me. Ma mia madre mi avrebbe fatto vuotare il sacco e Dio solo sa quale polverone avrebbe sollevato.

Andare a trovare qualcuno? Ma chi? Nessuno mi aspettava. Si sarebbero chiesti che cosa ero venuto a fare. Gironzolare per la città, guardare le vetrine? Pioveva troppo.

Quella era proprio la città della mia infanzia, della mia adolescenza, dove la vita non aveva sbocchi e dove non restava che cercare di vincere la noia.

Alla fine sono andato in quai Notre-Dame a “trovare” zio Antoine, il cui volto enigmatico è inquadrato adesso in una cornice solenne. Ho bagnato il ramoscello di bosso nell’acqua benedetta, tracciato una croce sopra il corpo rigido, rivolto un cenno di saluto alle due suore inginocchiate.

Non ho visto François. Non mi sono permesso di salire al primo piano, né di chiedere di vedere mia zia.

Quando mi sono ritrovato fuori era già buio e, tenendo l’ombrello a mo’ di scudo, ho camminato rasente le case.

Piuttosto che rientrare, ho preferito sedermi nell’oscurità di un cinema, il primo in cui mi sono imbattuto, forse quello in cui era andata mia moglie. Avevo le scarpe zuppe di pioggia e anche l’orlo dei pantaloni. La mia vicina succhiava caramelle alla violetta e davanti a me due innamorati stavano guancia a guancia.

Mi sono sorpreso a ridere, meccanicamente, con il resto degli spettatori, perché davano un film comico, e tuttavia pensavo che in quel momento mio fratello Lucien stava probabilmente arrivando in rue des Saules, anche lui con i piedi bagnati, e si apprestava a suonare alla porta della casa di Marie>>.

Nella rappresentazione tragicomica della famiglia Huet - in attesa delle esequie e, soprattutto, dell’apertura del testamento dello zio Antoine - prevale un intreccio di sentimenti che tendono a confondersi: ostilità, livori, rivalità, frustrazioni che quasi mai, nei romanzi di Simenon, raggiungono il livello della comunicazione verbale e dunque, come pure sarebbe possibile, non trovano una risoluzione, Bisogna dire, però, che nel caso del romanzo in questione un piccolo spiraglio di luce si apre e, per una volta, vengono a galla anche le virtù morali e, perfino, gli eroismi di alcuni personaggi.

“L’abitudine è, alla fine, il personaggio che non scompare mai nei romans durs di Simenon. Anche ne ‘Gli altri’, l’anatomia di una famiglia - un groviglio di vipere - annidata nelle profondità di madame la France. Un giacimento d’inesauribile, implacabile ferocia, ma interpretata comme il faut, in ossequio a un’etichetta nei secoli dei secoli. Il dramma intabarrato - un batuffolo di ovatta ripieno di cimici - si svolge fra Ognissanti e il giorno dei Morti. A simboleggiare una necrosi irreversibile, il veleno senza antidoti del troncare, del sopire, del quieta non movere” (Bruno Quaranta).

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