Libro: Alla buon’ora, Jeeves! - P. G. Wodehouse

Cultura

Pelham Grenville Wodehouse, scomparso nel 1975, è famoso per la serie “Jeeves e Wooster” - di cui “Alla buon’ora, Jeeves!”, uscito nel 1934, è il secondo romanzo lungo - che vede come protagonisti Bertie Wooster, nobiluomo inglese, e il suo valletto personale, Jeeves. I due apparvero in alcuni racconti sin dal 1917; il successo, però, arrivò con i romanzi (ripubblicati ora da Sellerio), che presentavano sempre gli stessi ingredienti: scene farsesche e assurde, affollate di elementi dettagliati; equivoci che si moltiplicavano per creare la trama; personaggi scolpiti al millimetro. Il tutto impreziosito dalla prosa precisa, brillante e a tratti sapiente dello scrittore britannico, dotato di un orecchio straordinario per i dialoghi e in grado di tessere dal nulla una metafora o una similitudine superbamente comiche

“Jeeves”, ho detto, “posso parlare con franchezza?”.

“Certo, signore”.

“Quello che ho da dire potrebbe ferirti”.

“Niente affatto, signore”.

“Be’, allora...”.

No, un momento. Fermi un attimo. Sono uscito dal seminato.

Non so se avete vissuto la stessa esperienza, ma io quando racconto una storia finisco sempre per inciampare nello stesso maledetto rovello: da dove cominciare. Non si può sbagliare, un passo falso e sei spacciato. Insomma, se all’inizio cincischi, cercando di creare l’atmosfera, come si dice, e quel genere di sciocchezze lì, perdi la presa e il pubblico se ne va.

Se invece schizzi via come un gatto scottato, il pubblico si disorienta. Alza le sopracciglia e non riesce a capire di cosa stai parlando.

E capisco che cominciando con il pezzetto di dialogo qui sopra, il mio racconto del complicato caso che ha visto coinvolti Gussie Erik-Nottle, Madeline Bassett, mia cugina Angela, mia zia Dahlia, mio zio Thomas, il giovane Tuppy Glossop e il cuoco, Anatole, ho combinato il secondo di questi pasticci.

Dovrò tornare un po’ indietro. E tutto sommato, fatte le dovute considerazioni, suppongo che si possa dire che la faccenda ha avuto il suo principio - se principio è la parola giusta - con la mia visita a Cannes. Se non fossi andato a Cannes, non avrei incontrato la Bassett e non avrei comprato quella giacca bianca da sera, e Angela non si sarebbe imbattuta nel suo squalo, e zia Dahlia non avrebbe giocato a baccarat.

Sì, bisogna proprio dire che Cannes è stato il “point d’appui”.

Ottimo, allora. Riordino i fatti.

Sono andato a Cannes - lasciando a casa Jeeves, che aveva dato a intendere di non volersi perdere Ascot - più o meno all’inizio di giugno. Con me sono venute mia zia Dahlia e sua figlia Angela, Tuppy Glossop, il fidanzato di Angela, doveva essere della partita ma all’ultimo momento non è venuto. Lo zio Tom, il marito di Dahlia, è rimasto a casa, perché non tollera assolutamente il sud della Francia.

E così avete il quadro: io, zia Dahlia e la cugina Angela che partiamo per Cannes all’inizio di giugno.

Finora tutto chiaro, no?

Siamo rimasti a Cannes per due mesi, e a parte il fatto che zia Dahlia ha perso anche la camicia a baccarat e Angela è stata quasi inalata da uno squalo mentre faceva acquaplano, ci siamo divertiti”.

Si legge Wodehouse - capace di rivelare nel mare sconfinato della “stupidità” il suo humour sottile - per la critica sociale ironica, che ha come bersaglio l’aristocrazia inglese; ma lo si legge anche e soprattutto per la consapevolezza di avere tra le mani un libro del quale godere quando non si deve correre da nessuna parte ma si vuole lo stesso essere altrove, per parafrasare le parole utilizzate da Beatrice Masini nell’introduzione al romanzo di cui stiamo parlando.

“Quella di ‘Alla buon’ora, Jeeves!’ - ha scritto Saverio Raimondo - è una trama frivola, come il mondo che Wodehouse racconta e che, del resto, potremmo definire la sua poetica. Ciò che egli vuole dare a ogni lettore è una tregua dalla cruda realtà e dalle sue avversità. E con lui, alla fine, ci troviamo di fronte a una scrittura comica in purezza, come, non a caso, ricordavano Fruttero & Lucentini, che oltre a essere stati fra i più brillanti scrittori che abbiamo mai avuto in Italia, sono stati anche fra i migliori lettori di questo Paese”.

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