Libri: Raymond Chandler - Finestra sul vuoto

L’incarico affidato al detective privato Philip Marlowe da Mrs. Elizabeth Murdock non sembra dei più difficili: si tratta, infatti, di ritrovare un’antica e rarissima moneta d’oro sottratta alla collezione del defunto marito della donna, probabilmente dalla nuora scomparsa. Ma non appena Marlowe fiuta una pista promettente e sente a portata di mano la soluzione del caso, una serie di omicidi indecifrabili fa calare sull’indagine una fitta coltre di mistero. Niente, comunque, che un investigatore del suo calibro non possa affrontare, attraversando la nera notte di Los Angeles, fra ricatti, night club, pinte di whisky e segreti celati dal tempo.

Con “Finestra sul vuoto”, pubblicato per la prima volta nel 1942 e ora riproposto in una nuova edizione dalla casa editrice Adelphi, ci troviamo dalle parti di quel genere narrativo, l’hard boiled (un giallo più crudo, con una rappresentazione per nulla edulcorata del crimine), di cui Raymond Chandler è stato senza dubbio l’indiscusso maestro. Creatore di un universo letterario nel quale l’era del post-proibizionismo veniva a configurarsi come una specie di elemento generatore di sistemi corrotti, le cui zone d’ombra permettevano al detective Philip Marlowe, protagonista dei romanzi dello scrittore americano, di esistere.

In “Finestra sul vuoto”, sin dalle prime righe, udiamo la voce di Marlowe senza sosta: una voce ironica, eloquente, smaliziata. Quella di un uomo dalla battuta fulminante, non immune da certe fragilità e segnato da una sorta di sciatta fallibilità, alle prese con un mondo nel quale la soluzione di un crimine non sembra mai implicare il ritorno ad uno stato d’innocenza. Così nei libri di Chandler la soluzione dell’enigma appare, alla fine, quasi un pretesto; l’occasione per una riflessione sociale ed esistenziale più ampia, che si lega ad un pessimismo di fondo. La scelta di utilizzare il giallo per trattare questioni sostanziali in grado di scavalcare i cambiamenti e le epoche, dando un senso più complessivo alla storia raccontata, si riverbera anche nello stile dello scrittore di Chicago, capace di inserire la ricercatezza letteraria della tradizione nel modello pulp, come dimostrano queste poche righe tratte dal romanzo: “L’atrio sembrava il set di un musical dal budget cospicuo. Luce e paillettes in abbondanza, tanta scena, tanti vestiti e tanta musica, un cast stellare e una trama con l’originalità e il brio di un’unghia spezzata. In quella bella luce morbida e indiretta, le pareti sembravano innalzarsi senza fine e perdersi tra stelle lascive e soffuse che brillavano davvero. Sulla moquette si riusciva a malapena a camminare senza galosce. In fondo, una scala a sbalzo cromata e smaltata di bianco, con gradini larghi e bassi coperti da una passatoia. Davanti all’ingresso della sala da pranzo c’era un caposala grassoccio dall’aria negligente, con una striscia di satin larga cinque centimetri sui pantaloni e, sotto un braccio, un fascio di menu placcati d’oro. Aveva una di quelle facce capaci di passare da un cordiale falso sorriso alla gelida furia senza praticamente muovere un muscolo”.

“Una prima cosa stupefacente di Chandler - ha scritto Claudio Cerqua - è che ‘Finestra sul vuoto’ uscì per la prima volta più di ottant’anni fa. In tutto questo tempo nulla ha perso in attualità, vivacità di dialoghi, disegno di caratteri, efficacia dell’intrigo. Gran parte del merito si deve al protagonista Philip Marlowe, un personaggio nato perfetto e mai più modificato, sempre fedele al suo disincanto del mondo in genere, della California in particolare”.

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