Letture: il racconto di Gianluca Morozzi
BOLOGNA. In fila fuori dal Centro Lame, a un metro dalla signora davanti e dal palestrato dietro, leggendo gli ultimi messaggi si rassegnò. Anche quella sera non avrebbe visto Sara.
Lui e Sara abitavano a tre chilometri e trecento metri. E in due diversi quartieri di Bologna, separati dalla ferrovia e dal sottopasso. Oltre quel sottopasso era molto probabile che ci fossero dei controlli, e scrivere sull’autocertificazione “Passare la serata con una ragazza con cui sono uscito solo una volta in vita mia proprio il giorno prima che entrassero in vigore le limitazioni sullo spostamento delle persone fisiche” non sembrava una motivazione a prova di bomba. Quegli otto minuti di macchina, quei trentun minuti a piedi, parevano alquanto rischiosi. Ma lui, il piano, lo aveva elaborato. Quando lei, al quinto giorno di quarantena, gli aveva scritto «Ho l’ansia qui da sola, fai l’eroe, viola il blocco per farmi compagnia!», lui le aveva esposto il piano perfetto. «Prendo l’autobus», aveva detto, «l’autobus secondo me non è sottoposto a controlli, dalla fermata a casa tua ci sono trecento metri a piedi, ma sono pronto per l’autocertificazione: la mia banca ha solo tre sportelli a Bologna e tutti in centro, mi devo per forza spostare dal mio quartiere periferico, superare la ferrovia, se mi fermano dico che sto andando a fare un versamento e invece vengo da te».
Sembrava perfetto, ma a Sara, quella mattina, era venuta la paranoia: «Sì, però tu sei uscito l’ultima volta l’11 marzo, sei andato in libreria, mi hai detto, l’ultimo giorno in cui le librerie erano aperte, l’incubazione è di quindici giorni, undici più quindici fa ventisei, io fino al 26 marzo non sono mica tranquilla». E che doveva dirle? Va bene, aspettiamo il 26 marzo, tanto mancano appena – porca miseria – sei giorni.
Avanzò di un altro metro. Avrebbe trovato tutto, una volta entrato nel reparto supermercato del Centro Lame? Ci sarebbero state le uova, il burro, i sofficini?
Più di tutto gli mancava il caffè. Non lo avrebbe mai detto: avrebbe pensato alle serate a bere vino con gli amici al Pratello o al Mercato delle Erbe, ai pomeriggi allo stadio a vedere il Bologna, al cinema, oh, le poltroncine del Lumiére, le poltroncine dell’Odeon sala D… e invece gli mancava il caffè. Poteva riempire dieci volte la moka di casa, poteva infilare capsule su capsule nella Nespresso: niente. Aveva sempre sonno. Forse era un rituale psicologico? Il bar, l’ordinazione, la tazzina, lo zucchero, le monetine accanto alla tazzina… Il racconto completo sul Corriere Romagna in edicola oggi, 24 marzo.