L’amore di una vita ritorna a volte in tutt’altra vita

Cultura

IL RACCONTO DELLO SCRITTORE STEFANO BON

Questa vita. Questa casa. Questa camera da letto. Sono tornato così all’improvviso che anch’io, per primo, sono sorpreso.
La sera prima di partire, tanti anni fa, non potevo sapere.
Ero in questa stanza con Beatrice e lei piangeva.
Come oggi, era l’ultima notte dell’anno.
Ci amavamo, ma suo padre non voleva.
Come se uno potesse decidere i sentimenti di un altro.
Io ero uno spiantato, diceva lui.
Era vero, ma era altrettanto vero che ci amavamo.
Le dissi: fuggiamo, lei smise di piangere.
La sua espressione si fece seria.
Ci pensò su almeno un minuto, poi disse sì.
Eravamo così sicuri.
Ci vediamo domani mattina, alle cinque, alla fontana.
Ci baciammo.
Provai a dormire qualche ora, ma non mi riuscì, mi rigiravo sopra un misero giaciglio che fino ad allora non mi era mai risultato scomodo.
Fuori tutti stavano festeggiando, desideravo che la smettessero, che sparissero per sempre.
Ci sono notti non finiscono mai, come certe gioie o certi dolori.
Era una di quelle notti.
Comunque ce la feci ad assopirmi per una manciata di minuti.
All’improvviso ho sentito un rumore.
Mi sono svegliato di colpo.
Bussavano alla porta.
Era mio fratello. Mi disse: ho bisogno di aiuto, ho ucciso un uomo, nascondimi.
Non poteva restare lì, l’avrebbero trovato subito.
Lo accompagnai da un amico fidato, ma quando eravamo già a metà strada incontrammo delle guardie.
Ci intimarono di fermarci, noi scappammo.
Spararono loro. Sparò mio fratello.
Lui uccise ancora. Loro ferirono me.
Trovammo rifugio in una grotta nel bosco, mi curai le ferite e prima dell’alba ci rimettemmo in marcia.
In marcia verso un nuovo destino.
Ora io ho cent’anni, li ho compiuti oggi.
Quando andai via ne avevo meno di venti.
Durante tutto il tempo ho pensato poco a questo posto e ho pensato poco anche a Beatrice.
Forse non era vero che ci amavamo.
Forse aveva ragione suo padre, ma facevo finta di nulla.
Era una cosa che mi provocava dolore.
Non ho fatto che fuggire da allora, non perché fossi un criminale, tutt’altro, ma perché la fuga era la mia ragione di vita.
La mia arte.
Come per Picasso la pittura o per Mozart la musica.
Ho cambiato città e nazione, ho guadagnato una fortuna, l’ho persa tutta e l’ho riconquistata.
Ho amato e odiato. Sono stato amato e sono stato odiato.
Sono stato bramato, poi dimenticato.
L’unica cosa che non ho mai fatto è stata restare fermo.
Dentro di me ci sono tre secoli, perché sono nato l’ultimo giorno dell’ottocento e ora mi trovo all’alba del primo giorno del duemila.
È per questo che sono tornato in questa città, in questa stanza.
Sono tornato di notte, quasi per caso, ma non c’è nulla di casuale nella nostra vita.
Anche questa notte sembrava non finire mai, come allora, ma adesso è arrivata l’aurora e non c’è più nessuna ragione perché io resti in questa casa e neanche in questa vita.
Ho vissuto tanto, forse troppo, ma ho vissuto.
Il mondo, di fronte a un nuovo millennio, pronto a un nuovo futuro e anche, presto, a un nuovo passato, non ha certo occhi per un vecchio come me.
Mi incammino a fatica lungo strade che a me dicono molto e incontro poche persone i cui volti non mi dicono nulla.
Adesso non posso più fare a meno di pensare a Beatrice, non posso non arrovellarmi nel mio dolore, ma lo faccio con piacere, ora.
Sarò stato solo un ricordo, o sarò svanito dalla sua mente una volta per tutte, perché solo così poteva cancellare il mio tradimento?
Chi avrà preso il mio posto nella sua vita?
Inutile chiederselo, le risposte non esistono.
Quelle vere intendo.
Le altre, ciò che noi chiamiamo risposte, sono solo convenzioni, banali segnali di riconoscimento, come cartelli o bandierine colorate.
Nel mio egoismo poi non considero neanche l’ipotesi che sia ancora viva.
Continuo a camminare e non a caso, perché neanche il caso esiste, e mi dirigo verso la fontana.
Sorprendentemente è nello stesso posto, sempre uguale.
Una donna sta aspettando in piedi.
Mi avvicino perché mi sembra una figura familiare.
Ormai le sono a pochi metri e lei non si è ancora accorta di me.
Tossisco e lei si gira.
Non credo ai miei occhi: è Beatrice, ma non una decrepita centenaria, bensì la stessa giovane Beatrice a cui avevo chiesto di fuggire.
Indossa anche lo stesso vestito di allora.
Appena mi vede, sorride con gioia ed esclama: «Allora, amore mio, dove siamo diretti?».

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