Giorgio Pirazzini e i grandi viaggiatori che hanno fatto la storia

Cultura

LUGO. Magellano e James Cook fecero la stessa (brutta ed evitabilissima) fine a 250 anni di distanza. Paolo di Tarso (ovvero San Paolo) ha fatto più lui – inizialmente non credente – per la diffusione del Cristianesimo, con i suoi viaggi “promozionali”, che tutti gli apostoli messi insieme (Pietro compreso). Tony e Maureen Wheeler volevano solo scrivere un diario di viaggio della loro prima vacanza ed è nata la Lonely Planet; Nellie Bly, tra il 1889 e il 1890, fu la prima donna a fare il giro del mondo e la prima persona a farlo nel minor tempo possibile (72 giorni).
Si scoprono tante cose interessanti leggendo “I grandi viaggiatori che hanno cambiato la storia del mondo”, la nuova fatica letteraria del lughese (ma residente a Parigi) Giorgio Pirazzini uscita da poco per Newton Compton Editori. Cose che Pirazzini ci racconta con stile decisamente più romanzesco che saggistico, trasformando di fatto la cronaca delle vicende di questi formidabili viaggiatori in avventure tra l’omerico e il salgariano. Una bella sorpresa, dunque, ritrovare l’autore romagnolo – che già avevamo molto apprezzato qualche anno fa in occasione dell’uscita del romanzo “Gattoterapia” (Baldini&Castoldi) – in questo stato di forma creativa, e a lui ci rivolgiamo direttamente per scoprire la genesi de “I grandi viaggiatori”.
Pirazzini, la avevamo lasciata qualche anno fa con un romanzo “felino” a tinte gialle decisamente originale e ora la troviamo con queste storie di grandi viaggiatori. Com’è nato l’interesse verso questi personaggi?
«Perché ognuna delle loro avventure è una storia straordinaria, già perfetta e compiuta, e insieme formano un puzzle variegato che aleggia fra il grottesco, il giallo e il thriller. C’è davvero di tutto dentro, la dolce mano degli dei classici, la fantasia dell’uomo medioevale, l’avidità dei primi navigatori, e poi la scoperta e portare la propria resistenza al limite. Penso a James Cook, che sognava di solcare tutti i mari del mondo, e che si è lasciato trasportare dalla sensazione di invincibilità. Oppure a Nellie Bly, una donna di grandissime capacità, sempre all’avanguardia del suo tempo, con un’immensa vitalità. O ancora Amundsen, il razionalissimo esploratore dei ghiacci, che calcolava ogni impresa con la precisione di un’equazione. È stato facile appassionarsi, ognuno di loro incapsulava un intero universo, popolato di passioni, ossessioni e desideri di superare i limiti.»
Andando da Erodoto ai fondatori della guida Lonely Planet ci si rende davvero conto di come la scoperta continua del nostro mondo sia stata foriera di cambiamenti – culturali, sociali, politici – enormi. C’è ancora spazio, in quest’epoca di globalizzazione folle, per figure come quelle di cui parla nel libro?
«Per quello ho cercato di spingere le storie fino ai nostri giorni, con la Lonely Planet che, come promette il titolo, ha davvero cambiato il mondo, per cercare anche nelle pieghe del nostro mondo le increspature dentro le quali si infila la fantasia. Faccio l’esempio di Jacques Cousteau: nato nel 1910, cioè l’anno in cui Amundsen raggiunge il Polo Sud per primo e riempie l’ultimo spazio vuoto delle cartine – il mondo sembra avere esaurito i suoi segreti. E invece arriva l’esploratore che, pensando fuori dagli schemi, si rende conto che due terzi del globo sono ancora inesplorati, i fondali marini. Pur essendo davanti gli occhi di tutti, per milioni di anni i mari hanno custodito i propri tesori fuori dalla portata degli uomini, ma Jacques Cousteau inventa il respiratore autonomo e mette tutto a soqquadro. Improvvisamente compaiono sugli schermi relitti romani e spagnoli adagiati su un fianco come palazzi per i pesci, sanguinose battaglie fra squali, foreste di felci marine che ondeggiano alle correnti ventose. Un mondo nuovo sale alla ribalta. Occorre che qualcuno trovi queste fessure di immaginazione e abbia il coraggio e le capacità di esplorarle».
Oltre che sulle gesta storiche si sofferma spesso sulle vicende personali e sulla vita dei suoi viaggiatori, sempre molto intense e inusuali. Ha fatto scoperte biografiche che non si aspettava?
«Decisamente sì, e confesso un debole per Erodoto e Magellano, e per ragioni opposte. Magellano nasce con un caratteraccio e passa la vita a farsi scansare dagli altri, sebbene le sue capacità siano incontestabili. Ha decine di occasioni di ingraziarsi i potenti e i compagni, ma invece non perde occasione di rendersi detestabile. Ha un dono dell’antipatia così sincera che diventa simpatico come il brutto anatroccolo. Invece Erodoto è quello che speri di incontrare, che vorresti per amico, una persona curiosa, chiacchierona, avido di storie umane, un gran compagnone. Viaggia per curiosità, sembra, sempre di buon umore, intelligente, arguto, mai saputello. Nella Grecia classica, così arroccata nella propria superiorità culturale, Erodoto è il primo che cerca la bellezza anche nei “barbari”, cioè negli stranieri».
C’è un viaggiatore rimasto escluso dalla lista?
«Uno in particolare: Richard Burton. Ma è stata un esclusione dovuta. Il titolo del libro prometteva viaggi che dovevano aver avuto un impatto sul mondo, e invece Burton è un esploratore ottocentesco romantico, innamorato del viaggio e curioso del mondo, ma ha viaggiato per piacere personale piuttosto che con fini commerciali, come i navigatori, o per schiantare traguardi, come la conquista del Polo Nord o del Polo Sud. Un altro è il marocchino Ibn Battuta, che forse è stato il più grande viaggiatore del mondo medioevale. Ha percorso l’intera Asia, instancabilmente, ma poi dietro di sé il libro che ha scritto non ha acceso l’immaginazione come il Milione di Marco Polo. L’ultimo è Sir John Mandeville, che non ha mai lasciato casa sua, ma ha scritto nel ’300 un resoconto di un viaggio immaginario in Asia, pieno di mostri e creature fantastiche, che per secoli è stato creduto vero. Anzi, alcuni contestavano il Milione di Marco Polo per il fatto che non raccontava le meraviglie del libro di Mandeville!».

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