«Il non fare è fecondo più del fare. È un dono questo tempo vuoto»
INTERVISTA A MARIANGELA GUALTIERI. LA SUA POESIA "NOVE MARZO 2020" SULL'ITALIA AI TEMPI DEL CORONAVIRUS IN POCHE ORE È DIVENTATA VIRALE
CESENA. In questi giorni di “chiusura”, c’è chi riesce a produrre contagiosi virus sociali, che aiutano a stringere molti cuori insieme. Così si è rivelata la poesia “Nove marzo 2020”, ultima nata dalla penna di Mariangela Gualtieri, poeta e drammaturga del Teatro Valdoca di Cesena. Versi che sembrano scritti per gli italiani «che stanno a casa». Pubblicata sulla rivista online doppiozero.com, la poesia è diventa subito virale, conquistando in poche ore like e condivisioni come accade raramente a dei versi. Dal suo rifugio in collina, Mariangela racconta come è nata Nove marzo 2020, di lunedì.
«È arrivata così e c’è voluto solo il tempo di scriverla. Ma da qualche giorno, quasi supplicata da più parti, dall’angoscia di alcuni amici, e anche dagli amici di doppiozero.com, avevo provato a scrivere, senza però un esito soddisfacente. Il 9 marzo mi sono svegliata, con l’urgenza di vuotare il sacco, e sono arrivate quelle precise parole, così come le ho scritte».
Scrive «ci dovevamo fermare e non ci riuscivamo»; lo sentivate anche lei e la Valdoca?
«Io credo che sia e che fosse un sentire comune, col bisogno comune di rallentare. Sì, certo, anche noi sentivamo che era troppo rapida la corsa, troppo sbilanciato il fare rispetto al non fare, l’azione rispetto alla contemplazione».
È molto bello leggere «andava fatto insieme», perché «insieme» è una delle caratteristiche forse meno compiute del nostro essere, tanto più in questi anni.
«Spero che questo tempo segni un cambio di consapevolezza, e ci si renda conto che siamo tutti legati da un unico destino di specie. Solo insieme ce la faremo, e la posta in gioco è la più grande: la stessa nostra sopravvivenza su questo pianeta. E non la vita del pianeta che io penso fortissima anche senza di noi».
Un cristiano potrebbe vederci l’intervento di una mano divina nella costrizione a “rallentare” per diventare migliori; a lei invece cosa sembra, una conseguenza dei propri errori, un accadimento necessario, che altro?
«Siamo animali e dunque come gli altri animali obbediamo a leggi della specie, leggi segrete che tuttavia ci sono e agiscono su tutti noi. Ci sono animali che si auto immolano agli aggressori perché sia salvo il gruppo, altri regolano il soprannumero con malattie o lotte interne o altre strategie. Perché noi dovremmo essere immuni da questi dettami di specie? E poi la terra ha sempre provveduto a disfarsi di organismi che danneggiavano l’insieme. Ora il virus della terra siamo noi e io penso che la grande madre, come tutto l’universo, sia mossa da leggi armoniche: chi stona si estingue. È indubbio che ora siamo noi la grande stonatura del pianeta».
«Adesso siamo a casa» continua. Cos’è per lei questa «casa» che per tanti è anche sofferenza?
«Casa è lo spazio fisico dove abitiamo, dormiamo, mangiamo. Casa sono i cari con cui condividiamo gli affetti, e casa è certo lo spazio interiore di ognuno di noi; spazio che purtroppo visitiamo troppo poco, tutti intrattenuti fuori di noi dalla velocità di vita o dalla super affascinante e invadente tecnologia. Credo che in molti si augurino che questo tempo stimoli anche l’abitare più assiduo nelle nostre profondità, l’immersione in noi stessi».
Il suo richiamo si collega alla potenza della terra, all’essere viva, alle sue amate “antenate”, richiami, questi, presenti in tanti lavori della Valdoca. Cosa ha in più, di inaspettato, questo momento che ha colto tutti in contropiede?
«Questo tempo a me sembra prodigioso, quasi un tempo che potrebbe segnare una svolta: credo che tutti avvertiamo l’agire di forze che non conosciamo e che ci stanno proponendo o imponendo una riflessione, una maggiore consapevolezza e dunque un cambiamento. Credo che si cambi solo quando cambia il nostro pensiero. Tutti i populismi, così attaccati ognuno al proprio pollaio, dovranno riconoscere che è ridicolo e inefficace qualunque pensiero barricato, o la volontà di salvare i propri e lasciare fuori gli altri. Non ci sono più gli altri, siamo un organismo unico».
Quali sensazione le procurano le migliaia di like di una poesia divenuta così virale?
«Mi lasciano stupefatta. Mi fa molto piacere questo ritorno di affetto e di stima. Non nego tuttavia un certo spavento nel vedere come è divampata, quasi in pochi minuti. Mi conforta questo bisogno di poesia, da un lato, e dall’altro mi sembra così poco quello che ho fatto. Ancora conferma che siamo un unico organismo. E che anche noi abbiamo i poteri del contagio, in positivo».
Come trascorre questo tempo lungo, sospeso da tante cose che ci parevano fondamentali?
«Vivo in campagna e questo è un grande sollievo. Faccio lunghe camminate nel bosco o per i campi. Sto molto in silenzio. Leggo e scrivo sentendo il privilegio di poterlo fare in un tempo dilatato e dunque sarei felice, se non fosse che gli altri, molti altri sono sofferenti e questo mi chiama a essere soccorrevole, come posso esserlo io, cioè mettendo lì delle parole».
Sta pianificando una ripartenza non appena il semaforo tornerà verde, ci saranno nuovi progetti, o desidera vivere questo tempo in maniera diversa da prima?
«La meraviglia di quanto accade è questa sospensione del futuro. Credo che il “non fare” spesso sia fecondo più del fare, so che abitare questa lentezza farà bene a tutti. Ci sono saltati due mesi di impegni molto belli, ma è anche un dono questo tempo vuoto. Non vorrei una partenza sprint. Vorrei per davvero rallentare tutto».