Azzurrina di Montebello e la sua storia di discriminazione
RIMINI. «Lei ha cinque anni, è affetta da un’anomalia della pigmentazione, cioè è – come si dice comunemente – albina. La bambina, che ci vede poco e male, non si espone volentieri al sole e quindi potrebbe essersi nascosta in qualche posto buio, ci ha detto il padre che ovviamente in queste ore è molto in apprensione. Da quanto ci ha raccontato la madre, il 21 giugno la bambina stava rincorrendo una palla e nel rincorrerla sarebbe scomparsa nel nulla. La nostra redazione, come sempre, è pronta a raccogliere le vostre segnalazioni».
Questo direbbe Federica Sciarelli, di mercoledì sera, ai tempi nostri.
Ma temo sia troppo tardi per affidare a “Chi l’ha visto?” una storia vecchia più di seicento anni. Parla di fantasmi ma non è “Ghost”, “Ghostbuster”, “Casper” né “Il sesto senso”. È la storia di “Azzurrina, la bambina albina”.
Una volta, raccontando la sua disavventura, ho fatto piangere la figlia piccola di un mio amico (ancora oggi mi sento in colpa) e non perché sono bravo a raccontare, ma perché obbiettivamente questa storia ti fa cagare addosso.
Il fatto è che contiene tutti gli stereotipi della storia che ti fa cagare addosso con, in più, il particolare che si tratta di una storia vera. Sì, lo so, gli scettici continuano a definirla leggenda popolare, ma io non ho mai sentito di personaggi fasulli che gridano disperati dall’Aldilà, indefessamente, fin dal Quattordicesimo secolo.
Tutto comincia con la nascita della figlia del feudatario Uguccione di Montebello, Guendalina o Adelina, per dire la precisione con la quale la vicenda è stata tramandata. E siamo intorno al 1370, per ribadire quanto anche la collocazione storica sia ammantata di approssimazione.
Guendalina o Adelina è affetta da una malattia genetica rara, l’albinismo, e quindi considerata intima del demonio, portatrice di sventura e meritevole di essere arsa viva al più presto.
Possiamo chiamarla “paura del diverso” o protobullismo, pre body shaming o razzismo sempiterno (la solita storia, o sei troppo nero o sei troppo bianco: i razzisti non sono mai soddisfatti delle nuance altrui). O, più semplicemente, stupida superstizione medievale.
Come diceva lo Yeti, il sonno della ragione genera mostri. Tipo quei tre fratellini in Bolivia che si sono fatti mordere da una vedova nera per acquisire i poteri dell’Uomo Ragno (28 maggio 2020). O quel presidente americano che voleva iniettarsi la candeggina per farsi gli anticorpi in tempi di pandemia (24 aprile 2020). O, restando sul caso Azzurrina, quegli stregoni dell’Africa Orientale che uccidono e fanno a pezzi gli albini per fabbricare amuleti portafortuna (centocinquanta casi dal 2014 a oggi). E questa, sì, è una storia che mette i brividi. Ma torniamo alle stupide superstizioni medievali.
Allo scopo di evitarle una fine atroce, la mamma di Adelina o Guendalina le applica una tinta nera che, da parrucchiera improvvisata, ottiene il risultato di far virare il bianco dei capelli verso un azzurro deciso: scelta, peraltro, oggi molto in voga tra le anziane abbonate del teatro Galli. Da questo particolare deriverà il soprannome della bimba. No, non “L’abbonata del teatro Galli”, ma Azzurrina di Montebello.
Ora, con quell’azzurrante nei capelli, la bimba ha un aspetto ancora più sinistro e il rischio rogo pubblico è tutt’altro che scongiurato. Per questo Azzurrina viene affidata a due armigeri, Domenico e Ruggero, che garantiranno che la bimba non esca mai dal castello di Montebello (e infatti è ancora là dentro, ma non voglio cedere allo spoiler facile).
21 giugno 1375, violento temporale (e qui si cade nel cliché), Uguccione è a combattere da qualche parte e la figlia sta giocando con una palla di stracci. Non perché sia povera, vive in un castello, ma perché mancano cinquecento anni all’invenzione del pallone di gomma. Insomma, la palla di stracci le cade nel nevaio, una ghiacciaia sotterranea usata come frigorifero. Non perché sia povera, ma perché mancano cinquecento anni all’invenzione del frigorifero.
Nel tentativo di recuperare la palla, Azzurrina scende nel cunicolo e non torna mai più. Per tutta la notte gli armigeri si affannano a cercarla, ma della piccola nessuna traccia. E quando torna Uguccione, invece di metterli in mobilità, li squarta.
E quella sera la mamma dov’è? E come si chiama la madre? Non si sa: viene consegnata alla Storia come quella che sbagliò a fare una tinta; uno di quei ruoli secondari che qualsiasi attrice rifiuterebbe, a prescindere dal prestigio del regista. Che in questo caso potrebbe essere un Dario Argento.
Se il corpo di Azzurrina non è mai stato ritrovato, la sua anima vaga ancora a passeggio per il castello e ogni cinque anni, al solstizio d’estate, si manifesta in audio o video a seconda degli strumenti scelti dagli istituti di Parapsicologia incaricati di indagare: si va dalle sofisticate videocamere a infrarossi ai sofisticati registratori ad attivazione sonora.
La si è immortalata mentre passeggia per il castello, la sua voce piagnucolante viene catturata mentre chiama insistentemente “mamma” (certo non “Domenico” o “Ruggero”, balordi incapaci).
Ma conoscete l’annosa battaglia tra Acchiappafantasmi e Guastafeste, no? E infatti il 21 giugno 2010 il Cicap sentenzia che all’interno del castello «non risultano rumori provenienti da un’entità intelligente».
Intanto mi spiace che considerino Azzurrina una deficiente, ma allora che mi dite delle orme dei suoi piedini apparse sul soffitto? E il pezzo di vaso e la fibbia materializzati dal nulla durante una seduta medianica?
E la foto della turista coi due armigeri? Questa si fa fare una foto dal marito all’ingresso del castello (non si facevano ancora i selfie), porta il rullino a sviluppare (ve l’ho detto che non si facevano ancora i selfie) e, di fianco alla signora, uno di qua uno di là, ecco immortalati i peggiori bambinai di tutto il Medioevo, con i loro elmi da balie, le loro luccicanti armature da baby-sitter e il loro oramai opaco curriculum.
Questo in cui sto scrivendo è l’anno. E questa è la notte in cui Azzurrina dovrebbe farsi sentire. E se lo facesse con la mascherina? Se dovessimo sentire la sua voce attutita da una mascherina chirurgica (o, che so, una FFP2 fatta di stracci)? Allora ci sarà veramente da cagarsi addosso. Oltre a scoprire che ’sta pandemia è stata in grado, paradossalmente, di spaventare anche i fantasmi.
Intanto vale la pena ricordare che il 13 giugno è stata la giornata internazionale dell’albinismo, per dire no alla discriminazione contro gli albini.
Per quanto mi riguarda – non voglio apparire buonista – ma per me albini bianchi, albini neri, fantasmi albini bianchi, fantasmi albini neri, spettri medievali o contemporanei sono tutti uguali.