Arte, tre nuovi progetti della riminese Giulia Marchi
RIMINI. Cercare di uscire dall’oggetto quotidiano per produrre immagini o sculture riducendo i segni ad archetipi, andando oltre i confini della forma materiale, alla maniera dell’Arte povera. Sono le tracce concettuali che guidano ai più recenti progetti di Giulia Marchi: La natura dello spazio logico, Morning after pills e Language.
L’artista riminese proviene da una formazione artistica di forte impronta letteraria che l’ha portata a una espressività spesso connotata di narrazione aperta anche all’impiego della fotografia, ma non solo.
‹‹Tutto nel processo creativo – dice – è connesso, intrecciato, caratterizzato da una inequivocabile ricerca e da processi di filiazione a volte difficilmente identificabili. Con il mio lavoro ambisco a una totalità, un’attitudine al sentire l’immagine prima ancora di comprenderla. Il contaminare con materiali di diversa natura la scena dell’arte è parte integrante del mio lavoro che non è unicamente visivo ma trascende la visione, conduce in spazi tattili nei quali l’immagine viene plasmata sottendendo un pensiero ben strutturato ma da decodificare››.
Come sempre quindi la sua è un’operazione artistica di forte impronta concettuale, divisa tra fotografia e scrittura. Per quanto riguarda il progetto La natura dello spazio logico, si parte da installazioni in gesso che vengono successivamente fotografate. Una riflessione che definisce “geografica” sulla nostra modalità di confrontarci con lo spazio che occupiamo. Il concetto di geografia sta alla base della nostra concezione di spazio. Le fotografie diventano così un pretesto per raccontare in immagini il mito di Dioniso e della sua connessione con la prima suddivisione della superficie terrestre in sette continenti. Il progetto comprende sculture in marmo e iscrizioni sul medesimo materiale che declinano verbalmente la logica e i fondamenti del lavoro.
Morning after pills è un lavoro pensato come a un “necessaire”, un salvacondotto per la difficile quotidianità. Si tratta di opercoli all’interno dei quali sono inserite citazioni, titoli di libri, di opere d’arte e di componimenti musicali. Pillole per la sopravvivenza alle quali ricorrere in qualsiasi momento.
Lalangue è la lingua primitiva dell’essere umano che precede l’alfabeto grammaticale, depositata nell’inconscio. Punto di partenza del lavoro è un primitivismo dell’immagine che si fa linguaggio visivo attingendo da forme archetipiche realizzate mediante l’utilizzo di saponi manualmente scolpiti in porcellana. Attraverso una declinazione scultorea, una riflessione sulla forma embrionale delle cose e sulla loro continua mutazione. Ancora uno sfasamento delle forme espressive per poter affrontare i concetti di studio partendo da diversi presupposti e da diverse estetiche.
Marchi, Germano Celant, recentemente scomparso, teorizzava per l’Arte povera una domanda di radicalità scavando nell’essenzialità della materia.
‹‹Il movimento dell’Arte povera teorizzato da Germano Celant rifiuta tecniche e supporti tradizionali per fare ricorso a materiali poveri con l’intento di evocare le strutture originarie del linguaggio. Celant come Harald Szeeman sono stati i fautori di un approccio strutturato allo studio e alla ricerca in maniera sistematica, non limitandosi a scrivere dell’arte con le parole ma innestandovi la tridimensionalità della struttura espositiva, una totalità dell’arte, un’attitudine alla creazione e al processo creativo. In “Arte povera, appunti per una guerriglia” Celant definì l’artista un guerriero impegnato con la contingenza che sceglie autonomamente il suo luogo di combattimento . Arrivò persino a chiamarlo “cleptomane” perché all’artista è concesso di attingere a diversi sistemi linguistici: “Ridurre ai minimi termini, impoverire i segni, per ridurli ai loro archetipi”. In questo assunto Celant chiariva perfettamente la strada intrapresa, la radicalità dell’approccio è riconoscibile sia nelle intenzioni che nelle scelte dei materiali››.
Si potrebbe citare l’Italo Calvino delle “Città invisibili” pensando al lavoro di Giulia Marchi in questi termini: ‹‹L’occhio non vede cose, ma figure di cose che significano cose››. L’arte è uno specchio di qualcosa che ancora non c’è?
‹‹L’arte può essere specchio di un qualcosa di non detto, ci permette di guardare al mondo diversamente e una osservazione attenta della realtà ci offre la capacità di modificare la nostra percezione visiva ricercando il nostro spazio di appartenenza. La ricerca del significato prima della forma stessa è alla base del mio lavoro››.