Simona Sparaco: «Coniughiamo al futuro i nostri verbi»

Cultura

RAVENNA. Celata dietro lo pseudonimo di Diego Tommasini, ha vinto la prima edizione del Premio Dea Planeta, concorso letterario istituito dalla omonima casa editrice fondata del 2017 dal gruppo De Agostini e dallo spagnolo Planeta. La vincitrice è Simona Sparaco (1978) – autrice affermata con all’attivo pubblicazioni e programmi tv di successo, già finalista al Premio Strega nel 2013 – che ha conquistato la giuria con Nel silenzio delle nostre parole, romanzo intenso che in occasione di ScrittuRa festival sarà presentato domenica 26 maggio alle 18 ai Chiostri del Carmine di Lugo.
Partendo dall’ispirazione fornita dall’incendio della londinese Grenfell Tower del 2017, il libro narra l’intreccio delle vite di protagonisti diversi, legati dal filo rosso delle loro intime battaglie.

Il suo percorso l’ha portata a vivere all’estero, occuparsi di scrittura televisiva, collaborare alla realizzazione di alcune sit-com e scrivere romanzi, dimostrando quante declinazioni può assumere l’esigenza di raccontare. Cosa rappresenta per lei scrivere e quale tipicità della parola scritta la attrae maggiormente?
«Scrivere significa per me vivere appieno la libertà, quella dei miei personaggi, che a un certo punto si muovono quasi autonomamente, e quella insita nelle possibilità creative dell’essere autrice, ruolo che mi permette di diventare protagonista insieme a quelli sorti dalla mia fantasia, e di partecipare così alla suggestiva magia della scrittura. A differenza degli altri settori in cui mi sono mossa – dove spesso ho dovuto tener presente il punto di vista dei colleghi o dei produttori – la scrittura per me ha sempre coinciso con una libertà catartica e ricca di significato: la scrittura è diventata così una terapia, un percorso in grado di cambiare me stessa e – spero – anche i miei lettori».

Il suo ultimo romanzo parte da un fatto di cronaca e, mentre si sviluppa l’incendio che avvolge il palazzo, porta in scena Alice, Naime, Bastien, Polina, Hulya, personaggi accomunati dalla necessità di affrontare non solo la tragedia che stanno vivendo quella notte, bensì i propri demoni e i propri segreti, che il mostro di fuoco – metafora della necessità di rinascere dalle proprie ceneri – li spingerà a combattere per colmare i silenzi, darvi un nuovo significato e rinascere. Quale è stata l’esegesi del suo romanzo e quali le tematiche principali affrontate?
«L’incendio della Grenfell Tower portava con sé un simbolo dei nostri tempi, il palazzo, elemento che rappresenta perfettamente l’isolamento che caratterizza le nostre vite, che spesso trascorriamo l’uno accanto all’altro, ma chiusi nella nostra personale trappola interiore. Nel mio romanzo sono partita dai racconti di quella notte e ho dato voce e anima a quelle figure reali, che si sono trasformate nei personaggi. Ho così deciso di riflettere sul coraggio, che scaturisce innanzi al pericolo, di mostrarsi senza filtri, sulla dirompente necessità di superare pregiudizi, distanze e incomprensioni attraverso il dialogo, sull’amore inteso come forza capace di dare senso all’insensato, e – sulla scia della poesia Il primo e ultimo nome di De Amicis – anche sul rapporto con la genitorialità e le proprie intime radici».

C’è un filo rosso che collega i suoi libri, che toccano spesso tematiche dure, animate da una necessaria epifania, da una presa di coscienza dell’esigenza di un riscatto e di una rinascita capaci di interrompere il corso dell’esistenza dei protagonisti e porli innanzi allo specchio della propria coscienza?
«Il fil rouge è costituito dalla percezione del tempo: quando avvertiamo il suono incessante della clessidra, avvertiamo la necessità di fare un’ideale classifica delle priorità, ecco che allora il rastrello permette di scovare preziose pepite capaci di dare un senso alla nostra esistenza. Questo libro chiude un cerchio e rappresenta ancora una volta uno dei cardini che animano il mio cuore e la mia penna: la speranza nel futuro, la volontà di mantenere attiva la capacità di coniugare al futuro i verbi, l’attitudine a guardare oltre il muro, con uno sguardo ricco di fiducia e aspettativa, quella speranza che costituisce l’essenza dell’amore per la vita».

L'intervista sul numero odierno del Corriere Romagna in edicola.

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