Dalle pedalate con Pantani al team di Pogacar, Andrea Agostini: “Che meraviglia il Tour a Cesenatico”

La Uae è la squadra di ciclismo professionistico degli Emirati Arabi Uniti, oggi numero 1 del ranking mondiale. La stella della squadra è Tadej Pogačar, vincitore del Giro d’Italia. Altri corridori chiave dei 30 del team sono Adam Yates, João Almeida e Juan Ayuso. La formazione conta 140 persone in tutto. Il cesenaticense Andrea Agostini è il chief operating officer, in pratica il direttore del team, secondo solo all’amministratore delegato. Ha una lunga esperienza da dirigente nel ciclismo professionistico, dove ha iniziato la carriera nella Mercatone Uno di Marco Pantani. Dopo aver vinto come dirigente due Tour de France nel 2020 e 2021 e il Giro d’Italia quest’anno, rincorre un terzo sigillo al Tour, quello che per la prima volta in Italia esordirà con la seconda tappa nella sua Cesenatico, il 30 giugno.

Agostini, lei è partito da Cesenatico pedalando?

Incominciai nel 1981 ad andare in bicicletta. Avevo 11 anni, correvo con le giovanili della “Fausto Coppi”. Erano tanti i ragazzini che provavano, tra i quali Marco Pantani, Filippo Baldassarri, Francesco Buratti, Antony Battistini, e con loro approdai ai dilettanti, oggi under 23.

Come mai scelse la bicicletta?

Per amicizia con Matteo Panzavolta, un mio compagno di classe a cui ero molto legato, venuto meno per un incidente stradale. Suo padre era nel gruppo “Fausto Coppi”.

Da ragazzino che correva in bicicletta a numero due degli Emirati Arabi, quanto le è servito iniziare da Cesenatico?

Tantissimo in esperienza, è stato importante arrivare già dal mondo della bici, per capire cosa provano e pensano gli atleti. Serve a parlare con loro un po’ la stessa lingua.

Gli esordi con Pantani?

Siamo stati compagni di classe a scuola e insieme nella “Fausto Coppi”. Quando ho finito l’università, pensavo che il mio futuro fosse stato fare il commercialista, ma arrivò la chiamata di Marco per far parte del suo staff, come persona di fiducia. Fu la grande occasione. Marco mi dette l’opportunità di poter fare ciò che era il mio sogno nel cassetto.

Il primo passo nella Mercatone fu fatto con Pantani, quello per arrivare agli Emirati?

Dopo la Mercatone, passai alla squadra della Vini Caldirola, seguirono i team della Fassa Bortolo, la tedesca Milram, poi la russa Katuscia, la statunitense Bmc fino alla Uae degli Emirati nel 2017. A chiamarmi a far parte del team è stato il direttore generale della società, lo svizzero Mauro Giannetti, ciclista che nel 1994 ai mondiali arrivò quarto dietro Olano, Indurain e Pantani.

Come mister Alberto Zaccheroni e Pantani, lei ha scelto di mantenere ben salde le radici a Cesenatico, ritrovando gli amici di sempre dopo ogni impegno internazionale...

Sono molto legato alla mia città, agli amici, alla sua gente. Zaccheroni è stato il mio punto di riferimento e lo è tuttora. Come lui non vedo l’ora di tornare a Cesenatico, che amo, a incontrare gli amici, che mi chiedono di ciclismo, dei risvolti delle corse, del dietro le quinte. Dopo i due Tour de France vinti da dirigente, ho regalato le due insegne al comune di Cesenatico, proprio a voler sottolineare mio attaccamento alla città, di cui sono stato nominato ambasciatore nel mondo assieme ad Alberto Zaccheroni, a Enrico Rossi e al velista Marco Mecuriali per i successi sportivi conseguiti. Farò altrettanto a breve con la maglia rosa vinta da Pogačar. Magari poi anche col Tour 2024, chissà!”

A proposito del Tour, dopo 101 anni arriva in Italia e la seconda tappa è quella di Cesenatico-Bologna. Cosa significa per la cittadina?

Non me lo sarei mai aspettato che potesse capitare. Darà grande visibilità. È una grandissima opportunità per Cesenatico. Se il Giro è conosciuto, il Tour è stravisto. È il terzo avvenimento più seguito nel mondo, dopo le Olimpiadi e i Mondiali di calcio.

Lei è stato presidente del “Gs Fausto Coppi” fino al 2023. Cosa significa?

Tantissimo. Ne vado fiero. Resto tuttora un uomo “Fausto Coppi”. Collaboro dal 2000 nell’organizzazione, con un ruolo strategico per la Nove Colli, che ho già seguito con i presidenti Vanzolini, Spada, e adesso con l’attuale, Giunio Bonoli, che sta facendo benissimo.

Come spiega il calo di iscritti alla Granfondo, con numeri quasi dimezzati rispetto ad alcuni anni fa?

C’è un prima e un dopo la pandemia da Covid. Tutte le Granfondo di cicloturismo sono in difficoltà, tanto che l’80% hanno chiuso. Quelle rimaste viaggiano a un terzo dei partecipanti precedenti. Gli iscritti alla Nove Colli , che nel 2023 è stata spostata da maggio a fine settembre a causa dell’alluvione, erano stati 9mila; nemmeno otto mesi dopo, all’edizione 2024, sono stati 6.350. Io vedo il bicchiere mezzo pieno. Credo che nel giro di due anni, tenendo duro, ritorneremo ad avere i numeri del recente passato.

Nibali è stato l’ultimo italiano a vincere tanto, nel 2014 il Tour, nel 2013, 2016 due volte il Giro e prima nel 2010 la Vuelta. Dopo di lui, il ciclismo non ha regalato più grandi corridori italiani. Come mai?

Le cause sono più d’una: il cambio generazionale, le categorie giovanili che adesso sfornano corridori vincenti già a 17-19 anni e poi c’è un aspetto culturale. Per esempio, in Slovenia, che ha 2 milioni di abitanti ed è la patria di Pogacar l’orientamento sportivo si fa da ragazzi in base alle loro attitudini. Li seguono per farli crescere nel ciclismo, nel basket, nello sci. Oggi il ciclismo è uno sport planetario. Poche decine di anni fa era ad appannaggio di una manciata di nazioni continentali: Francia, Italia, Spagna, Belgio, Olanda, Germania. Oggi abbiano squadre di 21 nazioni e questo fa la differenza.

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