Cesenatico, barca a pezzi contro gli scogli: precedenza alla eco-bomba del gasolio in stiva
Del “Calimero” non c’è già più nulla dal recuperare, perché è a pezzi e adesso la priorità sarà svuotarlo dal carburante, che è una potenziale bomba ecologica, vista anche l’estrema vicinanza alla spiaggia.
Il peschereccio che è andato a urtare le scogliere giace sotto riva a brandelli, sballottato dal mare stretto e sbattuto contro la barriera sommersa. Resta ben poco da salvare. In questa fase tutta l’attenzione è incentrata sulla necessità di aspirare e travasare fuori il carburante che la barca ancora conserva, sigillato, nella stiva del relitto. Questo è il primo intervento che occorre fare per scongiurare un danno ambientale di una possibile fuoriuscita del gasolio. In via precauzionale, la procedura d’obbligo in questi casi è stendere subito in mare panne assorbenti e così è stato fatto: sono state poste immediatamente tutto attorno al perimetro della zona del naufragio, a seguito del quale è finito semi sommerso il “Calimero Sampa”, imbarcazione di 20 metri di lunghezza per 42 tonnellate di stazza, attrezzata per la la pesca a strascico.
Era in rotta di rientro in porto, trascorsa la notte a pescare al largo, all’alba di martedì 28 gennaio e invece ha urtato contro la scogliera soffolta di Ponente. Una di quelle frangiflutti, posizionata a nord del porto canale di Cesenatico, a 250 metri dalla riva. Questa scogliera soffolta, realizzata in massi, è larga una trentina di metri e si estende dal fondale fin quasi in prossimità della superficie del mare, in un punto dove la profondità raggiunge a malapena i 2-3 metri.
I precedenti disastri
Non è la prima volta che per un qualche motivo i pescherecci, in fase di rientro nel porto di Cesenatico, finiscono sopra quell’ostacolo. A volte arenandosi, altre volte rimanendo incastrati tra i massi affioranti. E magari, come nel caso del “Calimero Sampa”, affondano dopo una prima manovra fatta per provare a disincagliarsi.
Ad andare indietro nel tempo, alla ricerca delle barche da pesca che hanno urtato le scogliere a nord-ovest del molo di Cesenatico, bisogna risalire al 2006: nel giugno di quell’anno il “Sirio”, altra imbarcazione di una certa stazza, fu protagonista in mare di uno “spettacolare” atterraggio sulle scogliere soffolte, rimanendoci sospeso a secco e restò piantato lì sopra per giorni prima di essere recuperato.
Ben più complicate furono le operazioni di disincaglio per il “Relampago II°”, che nel mese di dicembre di quello stesso anno era finito incastrato con lo scafo dentro la scogliera.
Nel 2007 toccò al “Genesi”, peschereccio di 14 metri, finire contro le basse scogliere, restandoci intrappolato con la chiglia e procurandosi un’ampia falla a proravia dello scafo.
In tutti i casi gli equipaggi ne uscirono illesi.
Prima ancora, nel dicembre del 2005, c’era stato il caso della vongolara di 14 metri, la “Indios” di Bellaria, colata a picco a 500 metri dalle spiaggia di Levante, dopo essere entrata in collisione con la condotta d’acqua sottomarina per il ricambio d’acqua della Vena Mazzarini.
In anni recenti, nel febbraio del 2021, fu la volta di un’altra vongolara, la “Emilia”, di 15 metri di lunghezza: naufragò tra gli scogli, fallendo l’imboccatura del molo di Levante, a causa della fitta nebbia che rendeva problematica la visibilità.
Con la perdita, probabilmente per sempre, del “Calimero”, tanto la marineria di Cesenatico, quanto il ceto peschereccio, subiscono un nuovo duro colpo, che si aggiunge al disastro avvenuto nell’ottobre del 2022, a 11 miglia dal porto di Ravenna, quando colò in fondo al mare il “Lugarain”. Era un altro peschereccio di Cesenatico, di 24 metri di lunghezza per 65 tonnellate di stazza. Entrò in collisione con il mercantile battente bandiera danese “Mika”, di 82 metri e 1.660 tonnellate di stazza.
Per l’economia di settore e la produzione ittica locale, il venir meno dell’apporto e di barche come il “Calimero “, così come il “Lugarain”, è qualcosa di fortemente negativo.