Sarsina, già condannato per stupro in appello chiesto anche il tentato omicidio: «Ha provato a strangolarla»

Per la Procura era un omicidio premeditato. Quindi non sono ritenuti sufficienti i 6 anni e 6 mesi di pena inflitti dal Tribunale collegiale di Forlì in primo grado per violenza sessuale e lesioni (aggravate dai futili motivi). Un uomo di 70 anni, da anni legato in maniera stabile a una sarsinate, è di nuovo davanti ai giudici, questa volta quelli della Corte d’Appello di Bologna, che chiedono il rinnovo dell’imputazione e di tornare all’ipotesi del tentato omicidio che anche il sostituto procuratore Sara Posa, all’epoca del primo grado di giudizio tenutosi a Forlì, riteneva come “un atto premeditato”. Con una pena quindi molto più severa.
L’episodio
I fatti risalgono all’agosto del 2021. E come sempre in questi casi non riveleremo l’identità dell’accusato perché automaticamente risalterebbe subito anche quella della vittima. Una donna che aveva interrotto il rapporto con il suo storico compagno con il quale dunque non conviveva più. Ma che se lo vide piombare in casa, arrivato dalla provincia in cui abitava all’epoca, con intenti ben precisi. Ossia quelli di non accettare in alcuna maniera un “no” come risposta. La donna venne violentata. Almeno stando a quanto lei stessa aveva subito denunciato ai carabinieri facendo scattare le ricerche e l’arresto dell’uomo.
L’accusa
Ma oltre alla violenza fisica di natura sessuale, per la Procura generale che sostiene le imputazioni davanti alla Seconda sezione dell’Appello di Bologna (l’imputato è difeso dall’avvocato Marco Baldacci) la donna aveva rischiato, nel contesto, anche di perdere la vita. Per ottenere ciò che voleva ad ogni costo l’ex fidanzato l’aveva stretta forte al collo con un laccio. Rischiando di soffocarla e quindi di ucciderla.
Solo lesioni aggravate per l’accusa che lo ha portato ad una condanna di 6 anni e 6 mesi in primo grado. Un tentato omicidio oltretutto premeditato, invece, per la Procura generale, che a distanza di quasi 4 anni da quei fatti chiede ora ai giudici di appello di poter eseguire una perizia medico legale sulle lesioni riportate dalla vittima.
Le ecchimosi, nel tempo, naturalmente si sono rimarginate. E per integrare l’attività istruttoria (cosa che raramente accade nei processi di secondo grado) la Procura generale ha chiesto all’organo giudicante che un perito possa esaminare e valutare le fotografie che vennero scattate al collo della donna all’epoca dei fatti. I segni lasciati dal laccio che le era stato stretto al collo da valutare tramite immagini scattate al tempo della denuncia, per capire se debbano essere ricondotti ad una mera (seppur grave) “azione lesiva” come da giudizio già espresso o se possano essere associati a un tentativo premeditato di omicidio.
Un incarico peritale che la Corte d’Appello conferirà alla prossima udienza del procedimento. Una perizia che, facilmente, dovrà essere valutata da un consulente anche di parte difensiva, prima di essere dibattuta in aula per arrivare alla seconda sentenza sulla vicenda.