Responsabile Inail condannata per uso abusivo della banca dati di Cesena

Accesso abusivo a sistemi informatici. Una responsabile dell’Inail è stata condannata per aver utilizzato “per finalità del tutto personali” la propria posizione lavorativa dirigenziale all’interno dell’istituto di previdenza, assieme alle credenziali d’accesso alle banche dati di cui dispone sul lavoro.
Un caso che si è distinto tra gli altri nell’aula del giudice Marco De Leva (pm Alessandra Dati) in un periodo storico in cui si è parlato per differenti motivi su scala nazionale di operazioni di “dossieraggio” e per il fatto che ad occuparsi dell’indagine (è il profilo di reato che lo prevede) è stata direttamente la Dda, nella sua declinazione specializzata sui reati informatici, che ha sede a Bologna.
La donna, faentina, a cavallo tra l’anno 2020 ed il 2021 era responsabile di processo aziendale alla sede Inail di Cesena. In quegli anni, è stato raccontato in aula, aveva ricevuto in eredità dalla morte del padre un appartamento a Faenza, occupato da un imprenditore titolare di una ditta specializzata in rivendita di mobilio sui canali internet.
Secondo le denunce sporte dal locatario della casa (difeso per parte civile dall’avvocato Piero Santantonio) quando la gestione dell’immobile era passata dal locatore deceduto a sua figlia, per lui erano iniziate problematiche che riteneva «finalizzate a fargli lasciare casa». Da semplici contestazioni su ipotetici ritardi di pagamento del mensile d’affitto, fino a piombare in un periodo incastonato tra il gennaio e il maggio del 2021, quando l’uomo aveva iniziato ad essere bombardato da controlli a raffica da parte delle forze di polizia e di pubblica sicurezza. Nella casa che aveva in affitto c’era anche la sede legale della sua ditta, e le verifiche erano più che altro incentrate proprio sulla sua attività lavorativa, più che sulla sua presenza come residente in quel luogo.
Il sospetto per l’uomo era di essere diventato bersaglio di controlli fatti «su richiesta di qualcuno». Si ipotizzava un concorrente lavorativo ma denunciando l’accaduto, l’imprenditore ha richiesto un accesso agli atti sulle verifiche subite, scoprendo che i chiarimenti e le richieste d’intervento e controllo provenivano non da concorrenti ma dalla mail (anche dalla pec lavorativa con dominio Inail) della sua “nuova” padrona di casa.
La vicenda era finita anzitutto davanti ad un Gip in cui si contestava alla donna (difesa dagli avvocati Gianfranco Gallo e Fabio Frabetti) l’abuso d’ufficio. Un’imputazione che però non è stata ritenuta sussistente e processabile dai giudici del preliminare. Tra l’altro la vittima dei controlli subiti si aspettava che l’Inail si costituisse a sua volta come parte lesa nella vicenda. Invece negli anni delle indagini l’ente previdenziale non si è mai schierato contro l’imputata, passata nel frattempo a proseguire il suo incarico dalla sede di Cesena a quella di Faenza. Gli atti accumulati assieme alle denunce dai legali della ditta nel mirino hanno evidenziato che nell’arco di pochi mesi i pc dell’Inail con le credenziali in uso all’imputata, avevano effettuato 76 tipi di ricerche diverse sulla figura dell’imprenditore faentino e sulle sue attività. Tanto è bastato per farla finire in aula a Forlì con la nuova accusa di accesso abusivo di sistemi informatici; con lei davanti al giudice anche l’Inail, chiedendone il coinvolgimento in qualità di responsabile civile del comportamento della sua dipendente.
Al termine dell’istruttoria, in cui la difesa ha spiegato come la donna avesse comunque reperito informazioni che sarebbero state ugualmente in maniera facile rintracciabili sul web, ed anche non usando le credenziali e le banche dati del lavoro, il giudice ha deciso comunque di condannare la donna ad un anno e 75 giorni di reclusione con il beneficio della sospensione condizionale della pena. Senza però riconoscere alla parte civile i 50 mila euro di risarcimento chiesti per il danno subito. Che a questo punto l’imprenditore faentino dovrà chiedere ad un altro giudice in sede civile.