Cesena, «Più investimenti e immigrazione» per salvare il settore del commercio

Cesena

I dati sono quelli dell’ormai consueto appuntamento annuale con cui Confesercenti cesenate fa il punto sugli scenari economici nazionale ed europeo e sonda il sentire dei suoi associati. La data invece non è quella consueta: «Abbiamo aspettato un po’ - racconta il direttore Graziano Gozi che oggi li ha presentati con i presidenti Cesare Soldati e Monica Ciarapica - ci sembrava più ponderato mettere un po’ di distanza dall’alluvione per evitare che pesasse troppo nei giudizi». Quello che emerge è un quadro di complessiva fiducia nelle possibilità del territorio. Il 55% per cento degli intervistati (200 le imprese del cesenate che compongono il campione) rispondono che lo scorso anno per le loro imprese è stato ottimo o buono, c’è un 38% che si aspetta un miglioramento della situazione economica e di questi un 55% ritiene avverrà a breve. Il 48% ritiene che il territorio cesenate abbia affrontato le crisi che si sono succedute negli ultimi anni (dalla pandemia, alla crisi energetica, all’alluvione) meglio che in altre zone d’Italia e 48% giudica positivamente le politiche adottate nell’ultimo anno dal Comune.

Una crisi strutturale

Non che le criticità manchino. Tra queste gli associati Confesercenti che rispondono al questionario segnalano in particolare la difficoltà a reperire manodopera, i costi energetici ancora alti anche se dimezzati rispetto al picco del 2022, la tassazione e la burocrazia eccessive, preoccupa l’inflazione. Lo stato di crisi del commercio è ormai una certezza: «Nel 2013 in Italia si registravano 40.000 attività aperte, nel 2023 ne hanno aperto 20.000. Le licenze ambulanti sono passate nello stesso periodo da 13mila a 4mila. È una crisi profondissima e generale», mette in evidenza Graziano Gozi. Carlo Battistini, presidente della Camera di Commercio della Romagna inquadra il fenomeno a livello locale: nel 2003 in provincia di Forlì-Cesena si contavano 5611 imprese del settore del commercio, nel 2013 5938, nel 2023 5395. Il calo degli ultimi 10 anni è evidente ma, sottolinea Battistini, non colpisce tutti gli ambiti allo stesso modo: abbigliamento e ambulanti registrano una grossa perdita, ma i negozi di frutta e verdura crescono, crescono i ristoranti ma calano i bar. Crescono le librerie («settore a lungo dato per morto») e crollano i giornalai (da 241 a 166 negli ultimi dieci anni). E nel frattempo è esploso l’online: da 250 a 400 imprese in un decennio. E a fronte di andamenti tanto diversi Battistini sollecita il settore: «Forse è tempo di un riordino, è dalla legge Bersani che le categorie merceologiche non vengono più toccate».

Più immigrazione

Il volume d’affari del commercio online nel 2022 è stato superiore a 54 miliardi di euro a livello nazionale, «+15% rispetto al 2021, anche se meno dei +20% degli anni precedenti». Tornare indietro è impossibile ma non è nemmeno la resa totale la soluzione secondo Luca Panzavolta, amministratore delegato di Cia Conad, «format più efficienti, servizi di qualità, selezione giusta» sono i tre pilastri su cui piccole e medie superfici di vendita possono basare la loro capacità di competere sul mercato. Ma servizi di qualità richiedono personale competente e preparato e quello della manodopera è un problema evidente e da non sottovalutare. Non fa giri di parole, per Panzavolta bisogna aumentare flussi migratori in entrata. «È la nostra curva demografica a dirci che abbiamo bisogno di flussi migratori importanti e selezionati. Non bastano le politiche di incentivo alla natalità, tra l’altro spesso ferme solo agli annunci, a colmare il gap generazionale».

Rinnovare i contratti

A questo tema ne collega un altro, quello del lavoro e dei contratti: «Quello del commercio va rinnovato, i lavoratori devono recuperare il potere d’acquisto che l’inflazione ha eroso». Ma non sarà sufficiente: «È cambiato in modo profondo l’approccio al lavoro stesso - aggiunge Battistini -. Non è solo una questione economica e di retribuzione. I datori di lavoro dovranno anche attrezzarsi per offrire percorsi di crescita ai lavoratori capaci di rispondere ai bisogni e alle aspettative delle generazioni che arrivano adesso sul mercato del lavoro».

Più investimenti

Quella a innovarsi è una sfida a maggior ragione centrale in un settore in crisi. Cesare Soldati leggendo i dati del sondaggio fa notare: «C’è un 25% di imprese che dichiara che negli ultimi 12 mesi ha visto peggiorare le proprie condizioni e un 23% che risponde di aver cambiato poco il proprio modo di fare impresa per affrontare i cambiamenti. Non so se quanto siano correlati i due dati, ma colpiscono». Ma sul punto Battistini è netto e ammonisce: «Questo è un settore che non investe e senza investimenti non ha futuro». Porta ancora una volta i dati a supporto: «i consorzi fidi nel 2013 finanziavano 86 milioni di investimenti, nel 2016, l’anno dei tassi negativi, erano 81,7 milioni, nel 2022 38 milioni, la metà». Nel frattempo molto è cambiato, ammette, ma investire porta risultati e cita un altro dato: «Nella classifica delle più grandi imprese romagnole le prime due sono di commercianti: Unieuro e Cia Conad, seguono Marr, Teddy, Poltrone e Sofà, Arca. Aziende che hanno dimostrato dinamismo e capacità».

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