Il docente di Cesena sta tornando in moto dal fronte di Odessa

Cesena
  • 20 luglio 2024

Sta finendo il secondo viaggio in Ucraina di Piero Pieri, il 77enne cesenate, docente universitario a riposo dell’Università di Bologna, che dopo essere stato a Kiev ha raggiunto Odessa e da lì mercoledì ha iniziato il viaggio di ritorno verso la sua casa in via Martiri della Libertà, dopo che la sera prima tra sirene d’allarme e boati di diverse esplosioni aveva rivissuto una scena simile a quella dell’anno scorso, quando un bombardamento durò dalle 23 di sera alle 6 di mattina, anche se questa volta l’incubo è stato più breve e alla fine tutti i droni e missili lanciati contro il porto e i magazzini di grano sono stati centrati dalla contraerea senza vittime.

Vacanzieri e sirene

Sulla sua permanenza a Odessa Pieri riporta questa testimonianza: «Ricordate la canzone di Charles Aznavour, “Come è triste Venezia (soltanto un anno dopo)”? Il cantante ricorda la sua felicità a Venezia con la sua donna così amata, mentre un anno dopo, senza di lei, gli rimane un ben triste ricordo pieno di lacrime. Con una nota meno melodrammatica, il mio ritorno a Odessa, un anno dopo, è stato fatto apposta per vedere se qualcosa aveva cambiato il volto di questa splendida città di mare. E mentre cammino scrutando ansioso per la via Deribasovskaya, dedicata a Giuseppe De Ribas, il suo fondatore, questa Odessa appare oggi mi appare come fiaccata dalle quasi quotidiane incursioni aeree, dai bombardamenti così numerosi in tutta la sua provincia. Il centro storico, ricco di palazzi fastosamente opulenti e col suo porto da dove partivano ogni anno 4.000 navi cariche di grano dirette verso tutti i Paesi. Questo centro è ancora intatto, è ancora così luminoso, gremito di trionfanti decorazioni, bassorilievi, ampie vetrate, corti sfarzose. Eppure, questa città, un tempo gioiello dell’impero russo, oggi lega il suo glorioso passato allo stato doloroso di questo presente di guerra. I vacanzieri ci sono ancora, ma sui volti degli abitanti aleggia come un’ombra di apprensione, l’inquietudine di chi non può staccarsi dal rito quotidiano delle sirene che avvertono dell’imminente pericolo. Il fronte della guerra è lontano diverse centinaia di chilometri, ma i missili russi avvicinano questo fronte quasi ogni giorno, se è vero che la provincia di Odessa risulta la più bombardata, quella sottoposta con più cura meticolosa alle incursioni dei droni e dei missili iraniani»...

Senza la finale degli Europei

«La strategia dell’esercito russo», prosegue, «sta ottenendo gli effetti voluti. L’attacco sistematico alle centrali elettriche diminuisce in modo sempre più evidente la produzione di energia. Per esempio, nella sera della partita Spagna-Inghilterra la città era al buio: nessuno a Odessa ha potuto vederla. Altri esempi non meno indicativi: i negozi si arrangiano con piccoli generatori, gli hotel mantengono i servizi essenziali, ma in camera l’elettricità arriva a fasce orarie. Durante il mio pernottamento mi sono servito della torcia del cellulare. Per aprire la porta scorrevole dell’hotel devi infilare le mani fra i due vetri per forzare un meccanismo fuori uso, così come l’ascensore è per scrupolo inattivo. Sembrano cose piccole, ma la mancanza di questi comfort segnala che la guerra si sta allargando. Il mio amico di Kiev ha detto di un black-out nella capitale che dura da 24 ore, ed è la prima volta, da quando è scoppiata la guerra la capitale vive nel buio. Odessa è diventata la pallida ombra di quella città che solo un anno prima mostrava in modo vivace la sua volontà di reagire, ostentare volontà e coraggio animando rumorosamente la via Deribasovskaya con balletti, gruppi orchestrali jazz, caffè e ristoranti all’aperto coi tavoli pieni, e per il ristorante più famoso la gente si metteva in coda. Oggi i camerieri guardano con occhio amareggiato il vuoto dei tavoli, il silenzio dei pochi avventori. Se l’anno scorso i veterani esibivano la loro sdrucita divisa militare, quale gesto simbolico di un popolo che non si piega, oggi non ho visto una divisa militare portata con orgoglio. Nessuno lo dice, ma a Odessa si vive nella paura, per la segreta e non confessabile idea che l’offensiva ucraina, lanciata nella primavera scorsa, non è riuscita a sfondare il fronte nemico, mentre quello a sua volta avanza minaccioso, con la sua crudele contabilità di morti e feriti».

Una generazione eliminata

«Che le cose non vadano bene», aggiunge Pieri, «lo si capisce anche dai nuovi regolamenti: chi ha 18 anni non può più lasciare il Paese, deve mantenersi disponibile per una chiamata alle armi. È anche questo il segno di una sconfitta in arrivo, o se vogliamo, di una mancata vittoria. Solo immediate trattative di pace potranno limitare i danni, in termini di vite umane. Odessa è anche la cartina di tornasole di questa sopraggiunta potatura sociale. Sono rari i ragazzi che passeggiano lungo il corso, rispetto alle tante ragazze che affollano gli store dove si vendono oggetti ricordo. Questa guerra ha eliminato un’intera generazione: sono circa mezzo milione i giovani rimasti uccisi o feriti. Eppure, quasi un controcanto grottesco, sulla Deribasovkaya, anche quest’anno rivedo il gruppo inossidabile degli harleysti, con le loro fastose moto parcheggiate davanti allo stesso chiosco di caffè. È il loro territorio, sono la dimostrazione che il mito americano si conferma, nonostante la guerra, con moto ricche di luccicanti gadget, giubbotti di pelle ornati di teschi, mentre i biker portano capelli annodati a coda di cavallo, mentre le braccia mostrano tetri tatuaggi di morte. In questo caso, come non dare ragione a concittadino Renato Serra quando, nel suo “”Esame di coscienza di un letterato”, scriveva queste profetiche parole: “La guerra è un fatto, come tanti altri in questo mondo; è enorme, ma è quello solo; accanto agli altri, che sono stati e che saranno: non vi aggiunge; non vi toglie nulla. Non cambia nulla, assolutamente nulla, nel mondo”».

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