Da Cesena a Kiev: sotto le bombe e nell’ospedale della strage dei piccoli degenti

Cesena
  • 12 luglio 2024

È iniziata con due momenti angoscianti ma umanamente intensi e preziosi per connettersi alla cruda realtà della guerra la trasferta in Ucraina di Piero Pieri, il 77enne cesenate che nella mattinata di domenica scorsa è partito in moto dalla propria casa in via Martiri della Libertà, diretto a Kiev. Il docente universitario in pensione, che già l’anno scorso si era recato nel Paese invaso dai Russi, ha raggiunto la capitale mercoledì pomeriggio, per partecipare alla manifestazione per la pace che si è svolta ieri in piazza Majdan e di cui porterà una testimonianza a cui il “Corriere Romagna” darà voce. Ma già nelle prime ore della trasferta in Ucraina ha vissuto due esperienze emotivamente forti. Innanzitutto, si è precipitato subito a visitare l’ospedale pediatrico Okhmatdyt, che l’8 luglio è stato centrato da un missile russo. In quella struttura ogni anno vengono curati oltre 20mila bambini e nel momento in cui è stato distrutto distrutto dall’attacco ai 10 reparti chirurgici, ai 5 di oncologia, alle 2 unità di terapia intensiva, alle unità di radiologia e radioterapia e al laboratorio di oncologia ed ematologia, (l’unico presente in Ucraina), erano 670 i piccoli degenti. Ci sono state più di 40 vittime. Pieri si è “dovuto fermare fuori dal cancello, perché erano in corso accertamenti su quel “crimine di guerra” e non ha potuto entrare . È stato colpito dal «simbolo di vita su una targa all’ingresso: l’immagine stilizzata di una mamma con un bambino in braccio, che racconta la vita che si dà, mentre la morte prende». Poi il suo sguardo è caduto su una scena commovente, quella di «fiori e orsacchiotti lasciati lì accanto». Il suo commento è amarissimo: «Quello è diventato un luogo di lutto e di grande dolore che tanto ha colpito tutto il mondo e lo resterà sempre».

Poco dopo, nell’hotel “Royal Tower”, palazzo di 30 piani dove alloggia, si è sentita suonare la sirena, mentre gli aerei ucraini decollavano per intercettare altri missili in arrivo. Da quell’istante - racconta - «Abbiamo avuto tre minuti per scendere nel bunker. Mi sono portato dietro una fetta di segale con formaggio spalmabile, un litro di kefir e un barattolo di birra. Con me c’era il mio amico Anthony e abbiamo bevuto assieme, aspettando la fine delle incursioni». Scene di quella che è diventata da troppo tempo una tragica “normalità”.

Newsletter

Iscriviti e ricevi le notizie del giorno prima di chiunque altro Clicca qui