Crac Ac Cesena: in aula l’ex presidente del Chievo Luca Campedelli nega qualsiasi plusvalenza
Non solo plusvalenze ma un volo lungo 5 anni (e 4 ore di udienza) su tutto l’andamento economico del fu Ac Cesena e dell’era prima del fallimento, nell’udienza di ieri per il crac della società bianconera.
Il primo protagonista nell’aula di Forlì è stato il maggior azionista della ditta dolciaria Paluani, Luca Campedelli, in veste di ex presidente del Chievo, società calcistica fallita nel 2022, quattro anni dopo l’Ac Cesena. Il pm Francesca Rago non aveva particolari questioni da chiedere a chiarimento all’ex patron degli scaligeri, che è stato invece incalzato da tante domande del suo avvocato Daniele Ripamonti, col mirino puntato sulle plusvalenze che sono state sempre al centro delle indagini della Guardia di finanza.
Campedelli ha prima ricostruito com’era la gestione societaria del Chievo, tra direttori tecnici, sportivi ed osservatori. Poi ha dettagliato come in quei contesti di mercato calciatori, “Transfertmarket” non sia mai stato un parametro per affidare un valore ai giocatori stessi. L’intento del Chievo era fare investimenti. Che a volte si rivelavano fruttuosi, acquistando a poco calciatori che poi dimostravano di avere molto valore; altre volte andava peggio, con prospetti interessanti che non si rivelavano all’altezza delle prestazioni sportive attese. In ogni caso, quando si trattava di calciatori minorenni, anche a compravendita avvenuta difficilmente gli si faceva cambiare città, lasciandoli nel contesto familiare per far proseguire loro i percorsi di studio. Campedelli ha negato categoricamente che questi acquisti fossero per plusvalenze da eseguire, spiegando come se si fosse trattato di mere transazioni “a specchio” tra società, il Chievo non si sarebbe mai interessato (ad esempio) a pagare cure mediche per i baby calciatori infortunati. Come invece avveniva coi tesserati della sua società.
Il Pm Rago ha poi dedicato circa 3 ore dell’udienza, con domande proprie e molteplici, all’audizione di uno degli ex soci imputati: Christian Dionigi. Una ricostruzione cronologica che passava quasi da ogni singolo Cda svolto e di richiesta di chiarimento sulle decisioni assunte. Dionigi (difeso dall’avvocato Antonella Monteleone) ha spiegato come “rate con l’erario scadute” non sarebbero state possibili agli occhi dei soci. Perché se non si onorano i debiti societari di quel comparto non è possibile iscrivere la squadra al campionato. Quindi l’iscrizione stessa agli occhi dei soci era la prova della bontà dell’operato societario. Le rateizzazioni erano gestite da Lugaresi (unico in società a percepire emolumenti nel suo ruolo di presidente) e monitorate da Annunzio Oliviero Santerini. La controllante Cesena & Co, per l’accusa era la strada per restituire prestiti ai soci. E Dionigi ha spiegato come in realtà dal 2015, anno in cui anche la cooperativa non navigava in buone acque, non vi fossero state operazioni in uscita in tal senso. Proprio per non danneggiare la salute della cooperativa stessa. I soci erano sempre sicuri della bontà delle transazioni fiscali. Bontà sgretolatasi ai loro occhi col fallimento finale. In generale nei primi 3 anni il piano industriale era solido, con una riduzione dei debiti totali di 30 milioni. In un contesto in cui i vari soci avevano versato nelle case societarie 18 milioni di proprio capitale.
Nella prossima udienza si entrerà ancora di più nel cuore delle plusvalenze contestate. Laddove è in programma l’audizione del direttore sportivo Rino Foschi (che ha sempre sostenuto di essersi solo occupato dei giocatori della prima squadra) e Luigi Piangerelli, che invece era il responsabile del settore giovanile.