Cesena, studenti nel rifugio anti-aereo per una lezione di pace e una sorpresa: «Prima la gente si riparava dentro l’acquedotto»

Prima che nella primavera 1944 il rifugio anti-aereo ai piedi della rocca entrasse in funzione, dove si rifugiavano i cesenati quando suonava la sirena d’allarme, un incubo che la popolazione visse ben prima di quella data, e per ben 926 volte? Gli studi fatti in vista della riapertura del riparo in viale Mazzoni, inaugurato venerdì scorso, hanno riservato un colpo di scena. Il luogo preferito dai cittadini per proteggersi dal rischio di bombardamenti era l’antico acquedotto, i cui accessi sono ancora ben visibili nel muro destro accanto alla scalinata che da piazza del Popolo sale all’Anagrafe. Anno dopo anno, col venir meno della generazione che visse la tragedia della guerra, l’uso della struttura risalente a fine Cinquecento per quello scopo era scomparso dalla memoria di quasi tutti. Ieri mattina lo storico Alberto Gagliardo, nei panni di guida di quattro classi di terza media delle scuole Viale Resistenza che hanno visitato il rifugio, ha rivelato questa scoperta, che ha fatto analizzando atti ufficiali relativi alla progettazione del rifugio della rocca.

Gli studenti sono stati poi accompagnati all’interno del rifugio di viale Mazzoni, che diventò il principale riparo anti-bombe in città a partire dal 13 maggio 1944, quando ci fu il primo attacco pesante dal cielo sulla città, che seminò distruzione e un centinaio di cadaveri. Ne seguirono altri 75 e il bilancio finale fu di 700 civili morti e 1.800 feriti.

Quel luogo salva-vita, che fu realizzato ex novo, con inizio del lavori il 4 gennaio 1944, era in grado di ospitare 800 persone, per 290 delle quali c’erano posti a sedere. Lì sotto una variegata umanità trovò la forza per sopravvivere e in almeno due casi documentati persino di partorire.

Ancora oggi si possono vedere le tracce di come era organizzato: il regolamento, la postazione dove stava il carabiniere capo-rifugio, a cui si aggiungevano 8 addetti tra cui vigili del fuoco e crocerossine, oltre a un’ambulanza all’esterno, una fontanella per l’acqua, un camino di areazione e latrine a secco, cioè senza acqua (per igienizzarle veniva usata la calce, che poi veniva spalata via una volta finito l’allarme), una piccola infermeria.

Un messaggio contro la guerra

Alberto Gagliardo, oltre a illustrare con grande precisione la storia di quel posto, ha condiviso coi giovanissimi presenti una grande ed eterna lezione di pace che si respira lì. «La violenza della guerra - ha osservato - capovolge tutti i valori della nostra umanità e questo rifugio lo mostra bene: l’alto, che è il luogo della speranza e del divino, diventò il punto da cui arrivano paura e morte attraverso le bombe, e il sotto terra, che è il luogo della sepoltura e della morte, si trasformò invece in uno spazio per salvarsi e continuare a vivere».

Non solo per conoscere le proprie radici ma anche per diffondere quel messaggio, si ripeterà quella che doveva essere un’unica giornata di visita delle scolaresche, viste le tante richieste pervenute. E l’apertura del rifugio a tutti i cittadini, ogni secondo e quarto sabato del mese, consentirà a chiunque di sentire dentro quel “budello” lungo 60 metri e largo 3 tutto l’orrore della guerra.

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