Cesena, senza casa da 80 giorni porta il letto davanti al Comune e chiede aiuto, l’assessore replica: «Sostegni dal 2018 e stanza proposta»

Arrivò in Italia nell’ormai lontano 2000, inserendosi bene e lavorando soprattutto nel settore della ristorazione. Da una dozzina di anni vive a Cesena, ma da circa 80 giorni, dopo uno sfratto per morosità dalla casa dove abitava in via Di Giacomo, in zona ospedale, Elis, 45enne originaria dell’isola di Capo Verde, non ha più un tetto e dorme per strada, dove capita. Ad aggravare la sofferenza c’è il fatto che è lontana dai suoi affetti, perché la figlia e la nipotina, che oggi compie 2 anni, sono ospiti in una comunità forlivese da circa un anno. Non solo. In queste condizioni a pesare come un macigno sulla sua vita c’è anche l’incertezza sulla regolarità della permanenza nel territorio nazionale. La donna, dopo essere stata per un paio di anni senza documenti a posto, ha infatti ottenuto un permesso a seguito della presentazione di una richiesta di asilo. In questa fase va però rinnovato ogni 6 mesi. Il 7 novembre prossimo scadrà e dovrà presentarsi in Questura: il suo timore è che senza avere una residenza stabile la situazione si complichi anche su questo fronte.

Difficoltà e protesta con un letto

Potere disporre di un’abitazione, dove auspica di potersi ricongiungere con figlia e nipotina, la considera la premessa irrinunciabile per potere frenare una precarietà dell’esistenza che si sta facendo sempre più pesante. «Ma finora dal Comune mi hanno solo proposto di passare le notti nel dormitorio», riferisce Elisita, come la chiamano tutti adoperando il diminutivo del suo nome. E fa notare che «non avere una casa rende anche difficile trovare un lavoro», che si dice disponibilissima a fare. Come è avvenuto, pur in modo precario, questa estate, quando ha prestato assistenza in una struttura sanitaria del territorio forlivese e ha trovato un’occupazione temporanea alla multisala cinematografica Uci, a Savignano. Il graduale recupero di un’autonomia economica non la vede come una missione impossibile, tenuto conto che anche la figlia lavora (ma un paio di settimane fa purtroppo ha avuto un infortunio, rompendosi la caviglia). Però il punto di partenza, per Elis come per le tante altre persone in situazioni di fragilità, è quella di avere una dimora fissa.

La capoverdiana, che è molto amareggiata perché dice di essere trascurata dai Servizi sociali del Comune, ma ha trovato accoglienza alle Cucine popolari, per quanto riguarda la necessità di pasti e sorrisi, ha voluto rendere manifesta la propria difficoltà più di una volta, davanti all’ingresso del palazzo comunale. Ha mostrato cartelli sotto il loggiato, chiedendo alle istituzioni ma anche ai rappresentanti delle comunità religiose di darle una mano. Ha portato addirittura lì un letto su cui dormire all’aperto, per chiedere anche con quel gesto eclatante «verità e giustizia» e fare capire che «è bello ed è un diritto avere un tetto che ti dà la sicurezza per affrontare le problematiche della vita». Come la recente morte di sua mamma, alla quale racconta affranta di non avere potuto fare l’ultimo saluto al funerale, perché il documento che aveva in mano non lo permetteva.

La replica dal Comune

La storia di Elis è è conosciuta e seguita dai Servizi sociali del Comune, che dal 2018 l’ha sostenuta più volte con aiuti economici e anche adesso le ha proposto una sistemazione usata per le emergenze abitative. Un’altra soluzione più stabile non è invece a portata di mano subito, ma l’assessora Carmelina Labruzzo conferma che «le porte restano aperte se deciderà di seguire un percorso che deve far sì che la casa poi possa anche mantenerla, al quale al momento non vuole aderire».

È questa, in sintesi, la risposta che arriva da Palazzo Albornoz, a proposito delle difficoltà della donna rimasta senza tetto da quasi tre mesi.

L’assessora riferisce che, oltre all’accesso al dormitorio, le è stato proposto ma invano «l’inserimento in una casa disponibile per queste situazioni, situata a San Carlo, in convivenza con altre persone ma comunque con una camera da letto sua e i servizi in comune».

Labruzzo è dispiaciuta anche per il fatto che «in realtà ad Elis, oltre all’assistenza ricevuta dalle istituzioni pubbliche, anche sotto forma di reddito di cittadinanza, hanno dato una mano diverse realtà del volontariato, in particolare legate alle confessioni avventista e cattolica, a cui lei rimprovera invece disinteresse».

Le ultime parole dell’assessora sono un invito a riaprire un dialogo che però - avvisa - deve svolgersi all’interno di un progetto ben pensato.

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