Cesena, piazza di pace a Kiev coi missili sopra la testa: il prof 77enne racconta

Uno «strano pomeriggio di pace e di preghiera, dove tanti rappresentanti della fratellanza universale hanno incuneato la loro civile protesta verso la guerra devastante in corso al fronte e in tante città dell’Ucraina, fra un allarme aereo scattato nel primo pomeriggio e un secondo allarme aereo, pochi minuti dopo la fine dell’evento».

Il 77enne cesenate Piero Pieri, che vi ha preso parte, dopo avere raggiunto in moto Kiev, descrive così l’iniziativa che si è tenuta l’altro ieri. Un giorno scelto non a caso, perché - ricorda - «l’11 luglio è una data speciale. È il giorno che celebra San Benedetto patrono d’Europa e la strage di Srebrenica, ad opera dell’esercito serbo nella guerra serbo-bosniaca».

E così il Mean, sigla che sta per Movimento europeo di azione non violenta, si è dato convegno nella piazza Santa Sofia, «luogo Unesco e maggiore centro religioso della capitale e dell’interas Ucraina, per la sua concentrazione di chiese greco ortodosse e cristiane».

In piazza per la pace

Il professore universitario cesenate in pensione condivide quelle ore di «speranza in attesa dell’imminente ferocia dei missili, quasi tutti colpiti dalla contraerea», raccontandola così: «Tutta questa virulenta aggressività non ha fermato il collegamento in videovisione con 25 chiese e monasteri, non ultimo quello di Montecassino, fondato da San Benedetto. Erano presenti in piazza i partigiani della pace, tutti massimi esponenti delle varie confessioni presenti in Ucraina, affratellati da una unica e solidale protesta contro l’aggressione russa, il continuo massacro dei civili, a partire da quello del maggiore centro pediatrico di Kiev (dove Pieri si è precipitato appena giunto a Kiev, ndr), che ha causato la morte di più di 40 persone, moltissimi bambini in ricovero oncologico. Dopo avere parlato il nunzio apostolico di Kiev, si è collegato il priore del monastero di Montecassino, e, alla fine, una sola unica preghiera di pace. Intanto, questa mirabile manifestazione di pace e di fratellanza, il giorno dopo ha visto i suoi esponenti riunirsi nel Palazzo di Ottobre, uno dei maggiori ritrovi culturali di Kiev, a ridosso dalla celebre piazza Majdan. Si sono formati sei gruppi per discutere i problemi inerenti ad una richiesta di pace che si allarghi a tutto il pianeta, quale unica soluzione per porre fine ad ogni tipo di sanguinose guerre, della quale il continuo massacro di civili a Gaza è il triste ultimo atto di una logica bellica perversa e terribile».

La vita quotidiana in guerra

Quello che Pieri sta vedendo è sconvolgente nella sua feroce “normalità” ma ci sono anche segni di speranza a cui aggrapparsi: «In Ucraina, la vita sociale si è come sospesa: faccio un esempio, gli scout non possono più fare campi estivi, nessun territorio è più al sicuro. Intanto, ad ogni allarme i treni della metropolitana si fermano, i centri commerciali chiudono, le scuole non aprono, e la gente trova rifugio nella metropolitana, in attesa del cessato allarme. Nella metropolitana, ho visto persone intimorite sedute su precari sgabelli forniti dal Comune, donne spavalde andarsene fiere a passeggio per i viali, impiegati che tornavano dal lavoro guardando attenti il cielo, un giovane militare e la fidanzata, seduti muti e assenti davanti a due coppe di gelato che si stavano squagliando, con la testa altrove, dentro al proprio gelo di morte. Per i ragazzi resta il cellulare, il solo mezzo di comunicazione e di conoscenza, nonché di socialità pur virtuale. Questo cellulare, che solitamente viene spesso considerato un oggetto che allontana dalla realtà viva delle cose, in Ucraina, all’opposto, migliora l’esistenza creando una pur labile sicurezza con le app dedicate agli allarmi aerei. Dopo il primo allarme tutti hanno un tempo massimo di tre minuti per trovare un rifugio, un bunker, una metropolitana. Così è bello vedere questi gruppi di pace lavorare insieme per trovare per il popolo ucraino forme di assistenza spirituale e materiale, alla luce di un concetto antico di pace fra i popoli».

Infine, una riflessione, fatta all’ora di pranzo di ieri: «Oggi la sirena dell’allarme non ha ancora suonato. Ma non sarà questo giorno un giorno di libertà dalla paura, dall’apprensione, dal senso quasi di spaesamento, come se nessuno più potesse sentirsi al sicuro nella sua città, nella sua terra, nel suo paese. Intanto al fronte si continua a combattere e ogni famiglia ha parenti, fratelli, amici di cui si spera solo il ritorno».

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