Cesena, morto in moto a 14 anni, nessun contatto tra i due. Assolto dall’omicidio colposo l’amico e coetaneo

«La condizione di imputato tutti questi anni deve essere stata probante. Ti invitiamo a non perdere mai la fiducia nella giustizia». Oltre all’assoluzione, il Collegio del Tribunale dei minorenni di Bologna (presidente Carmela Italiano, a latere i giudici Chiara Alberti, Maria Grazia Liotta e Giordano Barioni) ha rivolto un appello, che ha il sapore di “scuse per le tempistiche di legge” e l’inevitabile condizione di disagio psicologico, all’allora 14enne cesenate (oggi ormai ventenne) imputato di aver cagionato, col proprio coinvolgimento nel sinistro stradale, la morte del suo amico Sebastiano Suzzi, nell’agosto del 2019 sulla via Cervese a S. Egidio.
L’assoluzione piena dall’accusa di omicidio colposo è arrivata all’udienza di ieri in Tribunale a Bologna dove, dopo aver acquisito la consulenza di ricostruzione dell’incidente da parte di un ulteriore perito voluto dalla Corte giudicante, anche il pubblico ministero Simone Purgato (così come il collegio difensivo formato dagli avvocati Paolo Ghiselli e Flavio Vitali) aveva chiesto per l’imputato e amico della vittima il proscioglimento. Ora la parte lesa, ossia la madre di Sebastiano Suzzi, (tutelata dall’avvocato Gianluca Betti) attenderà le motivazioni della sentenza per valutare se ricorrere contro la decisione in Appello.
Il dramma
L’incidente dell’estate 2019 lasciò un doloroso segno sulla collettività cesenate e non soltanto tra i coetanei della vittima. L’imputato era il più vicino tra coloro che, in moto, viaggiavano lungo la Cervese quando avvenne la sbandata con la quale Suzzi finì a terra, perdendo la vita.
La ricostruzione da parte della Polizia locale del sinistro non bastò da sola a sancire una richiesta di giudizio per il cesenate accusato, che in aula è finito anche per un messaggio whatsapp in una chat di gruppo in cui si diceva dispiaciuto per l’accaduto. Anche da quel dettaglio si ipotizzò che la sua moto e quella della vittima si fossero “toccate” innescando la caduta fatale. La perizia finale sulla dinamica ha invece sancito che non c’è stato alcun coinvolgimento dell’accusato nel sinistro. «Nulla - vi si legge - avrebbe potuto fare per evitare gli esiti fatali».
Al dolore della perdita, un lungo processo
«Alla lettura della sentenza ci ha abbracciato. Si è detto felice di come noi difensori abbiamo operato per ricostruire nei dettagli la dinamica del sinistro fatale». La soddisfazione professionale per l’avvocato Paolo Ghiselli nell’aver visto assolto il suo cliente, si unisce ad un misto di commozione sotto il profilo umano: «Avevamo chiesto, e la Corte ci ha ascoltato, che per lui non venisse data una formula dubitativa ma un’assoluzione piena. Stiamo parlando di un ragazzo, ora studente universitario, che dopo aver incassato il dolore di aver visto morire un amico ha dovuto sopportare per 5 anni il peso di essere accusato di aver contribuito alla sua morte. Anche l’accusa ha chiesto l’assoluzione dopo aver chiarito i dettagli di come sono andate le cose, in un processo iniziato perché in una chat l’imputato si diceva “dispiaciuto”, ossia comprensibilmente addolorato, per la perdita di un amico. Un peso di giustizia lungo anni che nessuno meriterebbe. E pensare che la riforma Cartabia sancisce come sia il Pm, sia il Gip debbano “informare il loro agire” alla regola della ragionevole previsione di una condanna...».