Cesena, il suo bimbo ha bisogno di continue operazioni agli occhi, la ricerca disperata: «Non trovo casa»
È uno solo, ma forse, il primo nella gerarchia di una madre il motivo che ha spinto Migelsa ad abbandonare il suo paese natale, l’Albania, per venire in Italia. Al suo terzogenito - che oggi ha poco più di un anno - è stata diagnosticata, nei primi mesi di vita, una cataratta bilaterale congenita che comporta l’opacizzazione del cristallino di entrambi gli occhi causando intensi problemi alla vista. Spesso conduce alla cecità permanente. Di fatto il figlio della donna albanese «non vede quasi nulla» racconta Migelsa.
Una volta scoperta la malattia la donna ha una sola alternativa: operare il piccolo. Sopraggiunge, però, un problema: in Albania non esistono né medici né strutture preparate per svolgere l’intervento. «Ho girato tutto il mio Paese in cerca di soluzioni. Ho chiesto dei prestiti alle banche locali per viaggiare alla ricerca di un ospedale idoneo, ma nulla». Sempre la stessa risposta: «Mi dicevano che lì nessuno l’avrebbe operato e che avevo due opzioni: Turchia o Italia». Immediata la scelta della seconda: «In Italia - spiega - avevo la possibilità di appoggiarmi da mia sorella: vive a Cesena con la famiglia da anni». La donna decide di partire, porta con sé il piccolo di pochi mesi e gli altri due figli di 3 e 10 anni. Il primogenito frequenta le elementari, il secondo l’asilo. Arrivata in città si rivolge all’ospedale Bufalini dove i medici del reparto di oculistica prendono in cura il bambino e lo sottopongono, a distanza di qualche mese l’uno dall’altro, agli interventi agli occhi di cui necessita. «È in cura all’ospedale - dice Migelsa - e il percorso durerà tutta la vita. A 5 anni - le hanno anticipato i sanitari - dovrà operarsi di nuovo».
Abitano tutti a casa della sorella di Migelsa: «Viviamo in sette in una casa troppo piccola. Mia sorella è divorziata - racconta - ha due figli che stanno con lei e da un anno ci siamo anche noi. I bambini dormono in quattro in una cameretta troppo piccola». Una situazione che per la signora «non può protrarsi «. Troppe le difficoltà nella gestione del bimbo malato che richiede un’attenzione e una serie di esigenze fuori dalla norma. «Sono mesi che sto cercando una casa per me e i miei figli. Mi serve un posto dove stare perché le continue cure di mio figlio mi impongono di rimanere qui». Migelsa specifica di essere disposta «a pagare un regolare affitto».
La donna lavora da quattro mesi da Amadori sei ore al giorno, pertanto, dice; «Non mi serve una casa di lusso, mi basta un appartamento semplice dove poter stare e poter curare mio figlio». Percepisce uno stipendio medio-basso, ma sufficiente per poter sostenere la spesa di un canone. Diversi i tentativi di ricerca di una abitazione perpetrati dal suo arrivo in Italia ad oggi: «Mi sono rivolta a molte agenzie immobiliari - riporta - ma mi hanno detto che non si trova nulla al di sotto dei mille euro al mese. Per me sono troppi». Anche le graduatorie per l’assegnazione di alloggi popolari le sono precluse. Il regolamento del comune di Cesena parla chiaro: «Sono andata dagli assistenti sociali - continua - e mi hanno detto che non ci sono case. Ho specificato che posso pagare con regolarità, ma nulla: senza residenza non posso fare alcuna richiesta».
Stessa sorte per i sussidi di assistenza sanitaria: «Ogni mese devo comprare delle lenti a contatto speciali per il bambino che costano 320euro. Devo stare attenta che non le rompa perché altrimenti devo comprarne altre e spendere ancora di più. Avrei bisogno di un aiuto economico per queste forniture, ma nulla». Il requisito della residenza nel comune, infatti, rimane fra i principali per accedere a qualsiasi misura assistenziale. Le cure del figlio malato non possono essere interrotte e la mamma vuole stargli accanto, ma fa una richiesta: «Aiutatemi a trovare una casa, non chiedo altro» conclude.