Cesena, il monumento al minatore di Borello scelto come icona nazionale dell’archeologia industriale

Il monumento al minatore, opera dello scultore Tito Neri e inaugurato il 1° ottobre 2005 a Borello, diventa simbolo nazionale dell’archeologia industriale. La foto di quell’opera, con cui la Società di Ricerca e Studio della Romagna Mineraria, costituita nel 1987, volle rendere omaggio ai lavoratori delle zolfatare, in particolare quella di Formignano, è stata scelta per promuovere un importante evento che si terrà oggi a Roma. Si tratta del convegno “Tutela e valorizzazione del patrimonio industriale e archeo-minerario”, all’Istituto centrale per il catalogo e la documentazione in via di San Michele 18. L’evento, che potrà essere seguito dalle ore 9 in diretta streaming sul canale Youtube di Ispra, è stato organizzato in occasione della 18a riunione della Rete Remi, e sarà l’occasione per presentare la scheda “Spd-Siti produttivi dismessi”, il nuovo standard catalografico nazionale elaborato dal gruppo di lavoro composto da Iccd, Ispra-Remi, Università di Firenze e Aipai.

La scelta dell’immagine della scultura borellese come simbolo dell’iniziativa valorizza l’importanza dell’insediamento minerario di Formignano, di cui si ha notizia fin dal Cinquecento e che furono chiuse nel 1962, perché la lavorazione, a causa dell’impoverimento dello strato solfifero e della gran profondità raggiunta, era divenuta antieconomica. Si stima che nel periodo dal 1861 al 1962 furono estratte da lì 409mila tonnellate di zolfo grezzo, con una media di 250 operai occupati e un picco di 441 nel 1910. Numeri che fanno capire quanto quell’attività sia stata fondamentale per il territorio cesenate dal punto di vista economico e sociale.

Quando il capolavoro di Tito Neri fu tenuto a battesimo, Pier Paolo Magalotti, custode di quel pezzo di storia, spiegò che era stato «richiesto fermamente dai nostri vecchi minatori, che volevano che rimanesse un segno materiale della loro vita in miniera, del duro lavoro nelle gallerie ma, soprattutto, il ricordo dei tanti che hanno sacrificato la loro esistenza nei numerosi incidenti che funestavano tale attività». A dare ulteriore valore al monumento è il fatto che fu realizzato grazie ad offerte fatte nel corso degli anni, anche dall’estero, da discendenti di minatori che espatriarono quando la crisi portò alla chiusura di molte miniere e molti di loro percorsero la dolorosa via dell’emigrazione. Magalotti, in quella occasione, aveva espresso un’unica amarezza: che «tanti dei nostri vecchi minatori, che volevano vedere il loro monumento non sono più con noi». Ora la scelta di farne l’emblema di un convegno di primo piano è un altro riconoscimento al significato di un passato da non dimenticare.

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