Cesena. “Hanno ucciso mia mamma, ma grazie a mio padre non ho perso fiducia negli uomini”

«Ogni anno quando si avvicina il 25 novembre, mi sento montare una tale rabbia dentro». Diletta Capobianco è attiva contro la violenza sulle donne da tanti anni perché purtroppo né è stata una testimone diretta. «Quello che è successo, è accaduto tanti anni fa, avevo 14 anni», dice con una velata tristezza nella voce. Diletta è la figlia di Sabrina Blotti, uccisa a Cesena il 31 maggio 2012 da Gaetano Delle Foglie, un uomo che si era invaghito di lei. Sabrina era bella, aveva 45 anni e due figli. Lui 60, vedovo e ossessionato da un desiderio distruttivo. Lei lo aveva già denunciato per stalking. Lui aveva confidato i propositi omicidi ad una specialista. Ma nulla aveva evitato il tragico epilogo. Era il 2012, e solo dopo 7 anni, nel 2019, in Italia si è arrivati al cosiddetto “codice rosso”, la riforma che tutela le vittime di violenza domestica e di genere. Anche Diletta ha fatto il suo percorso. E’ diventata maggiorenne, tiene conferenze e incontri nelle scuole contro la violenza sulle donne.
Diletta hai seguito la vicenda di Giulia, come ti fa sentire apprendere che nel 2023, in Italia c’è stato un femminicidio ogni tre giorni?
«Da quando ho iniziato a fare il lavoro di sensibilizzazione, ho visto che ciò che manca in Italia, non sono le leggi. Manca invece la preparazione culturale. Io reputo la famiglia l’ambiente più importante per l’educazione, sia del maschio che della femmina. E’ in famiglia che si deve insegnare il rispetto, l’ascolto dell’altro, il riconoscere le proprie emozioni e saperle esprimere. La situazione di stallo che ti fa compiere determinate azioni, dipende, secondo me, proprio dalla mancanza di dialogo. I femminicidi vengono anche detti “omicidi passionali”, ma è tutto sbagliato. La passione è una pulsione se vogliamo creatrice e non distruttiva. Questi non sono omicidi passionali, sono omicidi perpetrati da persone che non riescono ad esprimere a parole frustrazione e rabbia. Sono convinta che una riforma che porti l’educazione sessuale e l’educazione sentimentale a scuola possa essere utile. Dobbiamo lavorare sui giovani».
Quello che è accaduto ti ha colpito nell’età dell’adolescenza, quando la personalità si plasma, compreso il rapporto con l’altro sesso, quanto sei stata influenzata da ciò che è accaduto a tua mamma? Hai avuto paura degli uomini?
«Non ho avuto paura delle mie relazioni, per fortuna, ho avuto accanto a me una persona bellissima come mio padre. Dall’altra parte però arriva un momento in cui crescendo devi capire cosa vuoi essere. Mia madre era una persona che mi ha sempre fatto parlare ed esprimere gioie e preoccupazioni. Mi ha insegnato a parlare dei miei sentimenti. E questo mi ha aiutato. Per anni non sono riuscita a parlare dell’accaduto, poi è iniziato il mio percorso su me stessa. Molto probabilmente se all’inizio mi ero completamente chiusa e raffreddata, piano piano negli anni sono migliorata. Ma è da poco tempo che ho riacquistato quella sicurezza nel dimostrare affetto anche a livello fisico. Sono convinta che bisogna riuscire a rialzarsi sulle proprie gambe. Tante volte mi è stato chiesto come fai a fidarti ancora degli uomini. Io semplicemente rispondo che mi fido molto di me stessa e cerco sempre di far parlare l’altra persona. Poi bisogna essere attenti, stare attentissimi. Oggi siamo tutti attenti su cose magari futili e poi pecchiamo nei rapporti umani che sono la cosa più importante».
La tua famiglia aveva iniziato una causa per risarcimento perché l’omicida era stato denunciato ma nessuno era intervenuto. A che punto siete?
«Premesso che non esiste al mondo in risarcimento per il dolore di una perdita così drammatica, posso solo dire che la causa è ancora aperta. Assurdo ma dopo 11 anni è ancora allo stesso punto».
Voi non mollate però?
«Assolutamente no, ci crediamo e non vogliamo mollare. Quando ci penso a me sorge una gran tristezza, perché la sottovalutazione all’epoca ci fu e nonostante ciò la causa dura da anni. Era importante per noi e per tutte le vittime creare un precedente affinché certe cose non capitino più. E’ per questo motivo che mi sono impegnata tantissimo anche nella sensibilizzazione. Penso che si debba andare nelle scuole fin dalle elementari e che ci debba essere la certezza della pena. Spesso invece non c’è. Con me a tenere le conferenze c’è un mio carissimo amico, a cui è stata portata via la mamma dal papà. Il padre è stato 10 anni in carcere e poi è uscito per buona condotta. Per me se togli la vita ad una persona dovrebbe essere ergastolo».
Ti senti di dire qualcosa alla sorella di Giulia?
«Dico sempre una cosa, non si può essere giudici del dolore degli altri. Per quanto a me sia stata strappa la mamma per mano di un’altra persona, oggi non mi sento di consigliare qualcosa nello specifico».