Cesena, dopo gli spari contro naufraghi e soccorritori l’esposto di Mediterranea: «Parte di una violenza sistematica, i nostri ministri non possono restare indifferenti»

Cesena

Pirateria internazionale, tentato sequestro di persona, tortura e violenza privata. Queste le ipotesi di reato che mette in fila l’esposto presentato da Mediterranea Saving Humans alla procura di Roma contro la cosiddetta guardia costiera libica per i reati commessi all’estero con la nave italiana Mare Ionio e alla procura europea per i finanziamenti Ue e italiani alle milizie.

Gli spari contro il soccorso

La denuncia riguarda i fatti accaduti lo scorso 4 aprile, quando Mare Jonio, impegnata nel soccorso a una barchina sovraffollata di persone e alla deriva in acque maltesi, quindi europee, venne attaccata da una vedetta libica, la 658 Fezzan, donata nel 2018 dal governo italiano alle autorità di Tripoli, mettendo in ulteriore e gravissimo pericolo le 45 persone a cui i soccorritori di Mediterranea avevano già passato i salvagenti in un crescendo di tensione che aveva visto la cosiddetta guardia costiera libica sparare in direzione delle persone finite in acqua e dei soccorritori. Alla missione, in qualità di medica di bordo partecipava anche Vanessa Guidi, gambettolese, vicepresidente e coordinatrice sanitaria di Mediterranea Saving Humans. C’è anche la sua firma, insieme a quella del capomissione e del comandante della nave, nell’esposto presentato lunedì.

L’importanza di denunciare

«È importante denunciare e aver presentato l’esposto - spiega Guidi -, perché quello che succede in mare con i libici che fanno violenze e catture è sistematico e i nostri capi di governo ne sono più che al corrente. Quello che è successo durante la missione 16 è stata una escalation di una violenza che è sistematica». Non si tratta infatti di un episodio isolato. «In quella occasione siamo stati testimoni e protagonisti in prima persona di una violenza che le persone in movimento subiscono quotidianamente. La gravità di quanto accaduto ad aprile e continua ad accadere è ben nota anche ai nostri ministri, troppo spesso impegnati nei salottini di Tripoli a stringere accordi che si trasformano in respingimenti e torture». L’esperienza drammatica e traumatica vissuta diventa così ulteriore strumento di denuncia: «Non possiamo lasciare che facciano finta di niente». Il testo dell’esposto è stato per questo inviato anche al primo ministro del Governo di unità nazionale libico, Abdulhameed Mohamed Dabaiba, al ministro degli Affari esteri Al Taher Salem Al Baour e al ministro dell’Interno Imad Mustafa Trabelsi, alla presidente del Consiglio dei ministri Giorgia Meloni, al ministro degli Affari esteri Antonio Tajani e al ministro dell’Interno Matteo Piantedosi, anche per tramite degli ambasciatori d’Italia e Ue a Tripoli Nicola Orlando e di Libia a Roma Muhannad Saeed Ahmed Younes.

L’esposto

Per la prima volta è una lunga serie di gravissimi reati che vengono ipotizzati nell’esposto depositato alla Procura della Repubblica di Roma, nella sua qualità di autorità giudiziaria competente per i delitti commessi all’estero contro cittadini e beni italiani, e alla Procura Europea per verificare l’impiego dei mezzi e dei finanziamenti concessi da istituzioni dell’Unione e dal governo italiano alle milizie libiche. A partire da una puntuale ricostruzione dei fatti, arricchita di nuovi elementi rispetto a quelli già noti (per esempio l’identificazione dell’aereo militare maltese che ha guidato i libici nell’intercettazione e cattura dei migranti in mare), e sulla base dei rapporti ufficiali di diversi organismi delle Nazioni Unite che documentano le criminali attività della cosiddetta guardia costiera libica, i legali di Mediterranea, avvocati Serena Romano e Fabio Lanfranca , chiedono all’autorità giudiziaria di indagare i responsabili dell’attacco per i reati di pirateria, tentato sequestro di persona, tortura e violenze, aggravati dall’uso offensivo delle armi da fuoco e dal concorso di una vera e propria organizzazione criminale, impegnata con continuità nella cattura e deportazione in Libia di persone in fuga proprio da quel Paese.

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