Cesena, caso Golinucci: “Boke sapeva che Cristina stava per arrivare al convento”
Emanuel Boke, il sudafricano ospite del convento dei frati cappuccini all’epoca della scomparsa di Cristina Golinucci, successivamente condannato per violenze sessuali ai danni di due ragazze cesenati a quasi 5 anni di carcere, sapeva dell’arrivo in convento di Cristina Golinucci quel 1° settembre del 1992; ed essendo dotato di ampia autonomia di movimento all’interno del convento, oltre che essere a conoscenza degli scavi in corso attorno all’area conventuale, avrebbe avuto ancora più opportunità di pianificare un’aggressione ai danni della 21enne di Ronta. Per poi farne sparire il corpo.
È uno dei motivi per il quale, nel corso delle nuove indagini in corso sul caso di Cristina Golinucci, i familiari della ragazza (la madre Marisa e la sorella Stefania) tramite il proprio avvocato (Barbara Iannuccelli) hanno chiesto ed ottenuto un prolungamento dell’indagine. Tre mesi ancora per coltivare la speranza che vengano trovate prove contro il sudafricano, da sempre primo della lista dei sospettati, e che questo possa essere anche di sprone per rintracciarlo: visto che dal 2017 è ricercato in Francia dove (sotto falso nome ma con impronte digitali registrate che ne smascherano l’identità) è ricercato dalle forse dell’ordine per altri reati di violenza sessuale commessi in terra Transalpina.
Che Boke sapesse dell’arrivo di Cristina che aveva preso appuntamento con il suo padre confessore per il primo pomeriggio del 1° settembre 1992, è emerso nel corso delle nuove investigazioni in corso dallo scorso anno: da quando cioè la Procura della Repubblica ha messo il suo mirino anche su un altra persona: un predatore sessuale cesenate che si ritiene fosse molto vicino agli ambienti frequentati dalla Golinucci ma anche alla figura di Chiara Bolognesi: ragazza cesenate trovata morta nelle acque del Savio a fine ottobre, per la quale si è sempre pensato ad un suicidio, ma sulla quale ora (in un fascicolo parallelo) si indaga per chiarire le esatte dinamiche della morte, temendo un omicidio.
Nei mesi scorsi tra le persone risentite dagli investigatori e dagli inquirenti c’è anche la cesenate Maria Capitelli: che all’epoca dei fatti lavorava come cuoca presso il convento dei Cappuccini di Cesena ed a servizio sia di frati che dei rifugiati ospiti del convento. La donna, che peraltro era già stata sentita come persona informata dei fatti in passato, in queste nuove indagini ha riferito riguardo alla scomparsa di Cristina: «Padre Lino (priore del convento e confessore di Cristina, ndr) mi raccontò che quel pomeriggio, verso le ore 14 era andato da Boke a dirgli che sarebbe arrivata una persona che doveva confessare e che alle ore 14.30, dopo questo incontro, avrebbero ripreso il lavoro nel piano terra del convento dove stavano intervenendo nel ripristino dell’intonaco in una stanza che veniva messa a disposizione degli Scout o dei gruppi di preghiera».
Questa nuova dichiarazione, agli occhi degli investigatori, se da un lato non coincide con quelle di altri testi relativamente ai lavori svolti da Boke quel giorno in convento (per lui si era sempre parlato di scavi per la posa di una conduttura dell’acqua), dall’altra fa emergere chiaramente che Emanuel Boke fosse a conoscenza dell’arrivo di una persona che doveva essere confessata da Padre Lino.
Boke negli anni successivi finirà in cella per stupro. Ed a padre Lino almeno una volta, nei dialoghi in carcere, aveva confessato di esser coinvolto nel caso della 21enne di Ronta scomparsa. Salvo poi negare qualsiasi suo coinvolgimento una volta che, tornato in cella per ascoltarlo, i dialoghi di Padre Lino con lui furono intercettati dagli investigatori.
Attraverso la internazionalizzazione delle ricerche mediante Interpol la procura di Forlì ha appreso che un tale Emanuel Boke sarebbe stato condannato anche in Francia per reati a sfondo sessuale commessi nell’anno 2017. Tuttavia, l’autorità giudiziaria francese per ora non ha fornito ancora alcun elemento identificativo per comprendere se tale Boke sia lo stesso soggetto che era presente nel Convento dei Cappuccini a settembre del 1992. Persona che, con le medesime impronte digitali di Boke, comunque si sta muovendo in Francia sotto falso nome e che non è mai più stato intercettato ed arrestato malgrado sia ricercato.
Le dichiarazioni fatte dalla cuoca del convento hanno stuzzicato l’attenzione della procura che a quel punto i questi mesi ha ascoltato anche altre persone. Nulla di utile è emerso sentendo ad esempio Piero Ricci e Wilma Lecchi. I due, marito e moglie, avevano avuto rapporti di amicizia con Boke all’epoca dei fatti; ma il primo (che intratteneva i rapporti per la maggiore) è stato nel tempo vittima di un incidente domestico che gli ha compromesso la memoria e non è in grado di ricordare particolari che potrebbero essere utili anche per un possibile rintraccio del sudafricano.
In questa fase storica dell’indagine è stato ascoltato anche il cittadino albanese Kristaq Kostrista, che all’epoca dei fatti, ospite del convento dei cappuccini di Cesena, per un periodo aveva condiviso la stanza da letto con Boke. Ha spiegato, come in parte aveva già fatto nelle precedenti indagini, che Boke non era in possesso della patente di guida ma, nonostante ciò, lo aveva visto esercitarsi alla guida con l’autovettura di un frate. Ha aggiunto che Boke spesso rientrava a tarda notte e per tale motivo era in possesso delle chiavi del convento. Ha detto che in un’occasione Boke rientrò ubriaco dopo che, dal cassetto della loro camera da letto, gli erano “sparite” 500 mila lire . Oltre a questo furto Kristaq Kostrista ha anche dettagliato alcuni particolari sugli ambienti all’interno del Convento, che consentono di ipotizzare come Cristina Golinucci, una volta presentatasi davanti alla porta di accesso del Convento, avrebbe potuto essere stata intercettata da qualcuno degli ospiti presenti. «Vi era un unico campanello che suonava all’interno del convento ed era udibile da ogni punto e da ogni stanza - ha spiegato agli investigatori Kristaq Kostrista - La porta d’ingresso dava su un corridoio alla cui destra c’era una porta che dava accesso alla zona dove c’eravamo lo, Boke e qualche altro ospite. In questa zona c’erano due camere con dei letti. Inizialmente Boke non era in camera con me, venne dopo due o tre mesi che arrivai lì... Dalla porta principale del Convento si accedeva poi anche alla porta che dava accesso all’area riservata ai frati. La porta dei Frati veniva chiusa a chiave dai frati nel senso che non si poteva entrare liberamente da loro, si doveva bussare e poi venivano ad aprire». In questi ultimi mesi per mappare nuovamente l’area, il convento è stato nuovamente visitato dagli investigatori. C’erano zone esterne non ancora ispezionate attraverso idonee strumentazioni tecniche come il Georadar, e grazie alla collaborazione di Kristaq Kostrista, alla presenza di unità cinofile ed anche della patologa Donatella Fedeli , si è guardato nei dettagli alla dislocazione degli ambienti all’interno del convento. L’attività di ricerca svolta sia all’interno che nelle aree adiacenti al convento non ha portato a nuovi elementi. Ma è stata accertata la presenza di un altro ingresso al convento: una porta che accede ad una scala che porta nelle catacombe dove erano presenti i corpi dei frati defunti e dove in passato delle ossa sono state catalogate come “troppo datate” per poter essere collegate a Cristina Golinucci. Anche se non sono stati mai eseguiti su reperti di questo tipo esami del Dna comparati con il genoma dei parenti di Cristi