"La mia avventura più bella? Il soccorso all'Achille Lauro"

Sedici anni di imbarco, navigazioni in ogni mare e con ogni tempo, operazioni contro il terrorismo, il comando attuale di una nave come l'Amerigo Vespucci... Se parliamo del forlivese Gianfranco Bacchi non si può certo dire di parlare con una persona dalla vita “comoda”... Eppure quando gli chiediamo di un'avventura vissuta in prima persona, il comandante scansa le tante tempeste affrontate e la sua memoria lo porta a Gibuti alla fine del novembre del 1994.

Comandante quanti anni aveva e cosa successe?

«Avevo 24 anni ed ero a bordo della corvetta Minerva. Eravamo impegnati in una campagna di rappresentanza in Arabia Saudita dove avevamo portato delle navi che il Governo di quel Paese era intenzionato ad acquistare. Avevamo lasciato Gedda, stavamo rientrando dopo la missione e navigavamo verso nord quando ci arrivò la notizia che il transatlantico Achille Lauro era affondato».

Cosa vi fu chiesto?

«Ci dissero di invertire la rotta e di dirigerci subito in Gibuti per accogliere i naufraghi che nel frattempo venivano recuperati da alcune navi mercantili».

E voi?

«La cosa singolare è che noi eravamo in quelle acque per un altro obiettivo ma dirigemmo a tutta velocità verso Gibuti, verso il Corno d'Africa. Impiegammo almeno una settimana per arrivare al porto e altrettanto tempo impiegammo per il nostro lavoro in quel posto. In pratica la nostra missione fu prolungata di circa un mese»

Qual era il suo compito a bordo?

«Ero responsabile della componente sonar, ricerca e contrasto minaccia subacquea. Ma è chiaro che in questa occasione mi occupai di tutt'altro...».

E arrivati a Gibuti?

«Abbiamo allestito una catena di ricevimento. I naufraghi sono stati accolti, identificati, censiti (per verificare l'eventuale esistenza di dispersi) e poi sono stati sistemati in albergo il tempo necessario per espletare le procedure per il ritorno in patria grazie alla collaborazione con le autorità diplomatiche... Tenete conto che in quegli anni in Gibuti non c'erano gli alberghi che ci sono adesso...»

In che condizioni erano questi naufraghi e di che età erano?

«Quelli dell'equipaggio, in maggioranza italiana, erano abbastanza giovani (animatori, cuochi, marinai...). I passeggeri erano quelli tipici di turisti in crociera: più che altro coppie di mezz'età. Erano persone impaurite che avevano visto la morte (il bilancio parla di tre morti, un disperso e otto feriti, ndr). Non avevano patito la fame ma erano comunque persone che avevano dovuto abbandonare una nave su una scialuppa, buttati in mezzo al mare in attesa dei soccorsi richiesti dall'sos».

Cosa vi dicevano?

«Erano molto grati di aver trovato un'organizzazione per assisterli. Sono passati tanti anni e non ricordo tutto, però, mi è rimasta impressa questa cosa: erano talmente ancora terrorizzati per quanto avevano vissuto che anche nei corridoi dell'albergo dove li avevamo portati giravano con il salvagente al collo».

A bordo dell'Achille Lauro c’erano circa un migliaio di persone. Dove furono accolte?

«Furono smistate nel porto di Gibuti dove c'eravamo noi e in quello di Mombasa dove invece c'era un'altra nave della marina, la fregata Zeffiro».

Come ha vissuto quella esperienza?

«Sono situazioni e operazioni che ti motivano. Ti senti particolarmente utile e importante, riconosci che la tua organizzazione ha una sua funzione non solo prettamente militare ma molto proiettata anche nel civile. Tutto ciò è ancor più gratificante perché, a differenza di altri, noi siamo abituati a lavorare e vivere in un ambiente, il mare, che non si può certo dire popolato».

Nel 1985 la nave fu dirottata dai terroristi

Il 30 novembre del 1994, durante una crociera da Genova al Sudafrica, al largo della Somalia, in Oceano Indiano, scoppia un incendio a bordo della nave Achille Lauro (foto in alto). Dopo due giorni la nave affonda e passeggeri ed equipaggio vengono soccorsi dalle navi mercantili che si trovavano in quel tratto di mare. Il bilancio è di tre vittime, un disperso e 8 feriti. Fra le curiosità, a bordo c'era anche un giovanissimo Alessandro Borghese, il figlio dell'attrice Barbara Bouchet. Quello che sarebbe diventato poi uno dei più celebrati chef italiani (nonché conduttore televisivo) era imbarcato per fare esperienza come cuoco. La nave nel 1985 era stata protagonista del dirottamento da parte di un gruppo del Fronte per la Liberazione ella Palestina, nel quale morì un cittadino statunitense paraplegico con avvenimenti che crearono forti tensioni diplomatiche fra Italia e Usa.

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