Uccisa dal compagno, gli ultimi sms prima di morire: "Ho paura, non riesco a tornare a Rimini"

Archivio

“Ciao Simone, scusa se ti scrivo, ma ho bisogno di dirti che io non riesco a tornare a Rimini, non voglio che nostro figlio cresca in un posto dove il padre urla, mortifica e picchia la madre. Non voglio stare con te per tutto quello che è successo nell’ultimo anno, con tutte le volte che mi hai fatto male e mortificata verbalmente. Hai ridotto a una briciola il mio cuore”. Cristina Peroni, la giovane mamma uccisa con 30 coltellate il 25 giugno dal compagno che voleva lasciare, aveva probabilmente immaginato quale sarebbe stato il suo destino.

La paura

Di lui, di Simone Benedetto Vultaggio, aveva paura. Lo aveva detto lei stessa anche a lui più volte, anche in uno degli ultimi messaggi che gli aveva inviato quando era tornata a Roma dai suoi genitori. “Mi sono resa conto questa settimana che più si avvicinava sabato e più avevo paura”. E di sabato, come in un crudele scherzo del destino, Cristina è stata ammazzata. Davanti agli occhi del bimbo di sei mesi che non smetteva di piangere, in piena mattina, in quella casa di via Rastelli doveva aveva convissuto con quell’uomo di cui lei, come raccontava alle amiche, all’inizio era innamorata davvero. Poi, alle stesse amiche (sentite durante le indagini coordinate dal pm Luca Bertuzzi per ricostruire il rapporto tra i due) aveva raccontato di averne paura, che la maltrattava, che le aveva puntato una pistola contro, e che addirittura all’inizio della gravidanza lui voleva che lei abortisse, perché convinto che quel figlio che portava in grembo non fosse il suo. Episodio che Cristina stessa ricordò a Simone, in un dialogo via Whatsapp. “Tu non sai quanto male mi facevi ogni volta che mi dicevi che non era tuo figlio, e dicevi che me lo avresti tolto dalla pancia a calci o tirandomi giù per le scale”.

I litigi per il figlio

Motivo o pretesto per l’assassino per non far allontanare la vittima dal suo raggio d’azione, il figlio era spessissimo al centro di litigi o discussioni. “Lo spaventavi urlando e non me lo lasciavi cullare, ma anzi mi facevi male quando allungavo e braccia per prenderlo” le ricordò lei. Agli inquirenti, del resto, Vultaggio ha sempre dichiarato di averla uccisa perché non le permetteva di stare con il figlio. Proprio queste parole, infatti, l’omicida proferì il giorno del femminicidio. Quel giorno in cui lui le tolse le vita a 32 anni, con una violenza inaudita, trafiggendola con ben più coltellate di quelle che sarebbero servite a ucciderla e colpendola anche con un mattarello in testa. La violenza, d’altronde, fu una costante nel comportamento di Vultaggio. Le indagini hanno disegnato proprio questo: un quadro fatto di dolore e soprusi inflitti quotidianamente a lei, Cristina, che nemmeno 20 giorni prima di morire rimproverava a se stessa di non essersene andata via al primo schiaffo. “Mi hai spenta lentamente, mi è venuta paura di te” scriveva. Vultaggio, detenuto ai Casetti, oltre che di omicidio, è accusato anche di maltrattamenti in famiglia.

Newsletter

Iscriviti e ricevi le notizie del giorno prima di chiunque altro Clicca qui